mercoledì 16 maggio 2012

Seconda parte del racconto "La stella"


Ed ecco qui la seconda parte del racconto scritto da Ksinin e Gambero! Un grazie ancora a Sara per il suo essenziale intervento di editing.

Restate sintonizzati sul No Pipe Blog in attesa della terza parte, che molto probabilmente arriverà la prossima settimana!

Enjoy!

PROLOGO

Parte Seconda

Aveva appena finito di fare sua la coscienza degli esseri che percepiva vicini quando lo vide rovinare dentro la conca.
Come aveva fatto a non percepirlo subito?
Ne comprese immediatamente il motivo: la vita lo stava abbandonando.
Decise di restare ad osservarlo. L'essere giaceva privo di coscienza sul terreno. Era lì, con la mano stesa che puntava proprio verso la sua figura.
Rimasero così per molto tempo. Infine il destino decise di lasciare ancora la vita nel corpo della creatura.

*

Costante si svegliò. Stava leggermente meglio ma capì presto che la malattia era ancora con lui, e con essa anche le allucinazioni. Con la poca forza rimastagli si mise carponi.
La sua mente annebbiata non riusciva a definire cosa ci fosse esattamente di fronte a lui.
Sembrava come se l'acqua del fiume si fosse raccolta, assumendo la vaga forma di un uomo, ma quel che gli appariva di fronte non aveva certo l’aspetto di un essere di questo mondo.
Costante cercò il suo sguardo, ma quando vide ciò che dovevano essere gli occhi della creatura dinanzi a lui, non poté che distogliere i suoi da quella visione.
Era come osservare il sole: non era possibile guardarne il viso a causa di quelle due luci accecanti.

«C-chi sei?» Le parole gli erano uscite quasi senza volerlo.
«Così come mi vedi ora, nessuno.» La voce dell'essere risuonava attorno a lui, ma Costante era certo di non aver notato il movimento di nessuna bocca su quel viso. «Prima che la vita ti abbandoni, vieni.»  Il ragazzo, istintivamente, afferrò la mano che gli era comparsa dinnanzi. Quel tocco gli riportò alla mente una sensazione che aveva dimenticato da tempo, e rivide sé stesso da bambino, quando afferrava la mano della madre per sentire vicino a lui la rassicurante presenza materna.
Così si avviarono a passo lento, con il ragazzo che riusciva a stare in piedi a stento solo grazie al sostegno dell'essere, che dal canto suo procedeva diritto davanti a lui, guidandolo senza degnarlo di uno sguardo. Mentre abbandonavano i campi per dirigersi nella vicina boscaglia, Costante ebbe modo di osservarlo meglio, anche se di spalle. Era formato, come aveva già visto, da una sostanza che somigliava all'acqua, ma evidentemente era qualcos'altro: non riusciva minimamente a vedere attraverso il suo corpo per quanto traslucido fosse all’apparenza. Visto da lontano sarebbe sembrato un uomo nel fiore dell'età. Riusciva a distinguere, appena sotto la “pelle” della creatura, lievi increspature nel liquido, atte a formare quelli che parevano i muscoli che si muovevano in tensione nel lento movimento del passo.

Quando distolse lo sguardo dal misterioso estraneo che lo stava accompagnando, si accorse di essere al limitare di una piccola radura, che aveva attraversato molte volte  recandosi nel bosco  per recuperare la legna per l'inverno.
Qui l'essere si fermò e fece adagiare Costante su un letto di foglie.

La malattia del ragazzo stava avanzando con ritmo incessante, divorandolo dall’interno, ed il poveretto era cosciente che presto non sarebbe nemmeno più stato in grado di sollevarsi da quel giaciglio. Rimasero così, in silenzio, per un tempo che a Costante sembrò lunghissimo, scandito dalle dolorose fitte che percepiva ad ogni muscolo del corpo, della sofferenza data dai bubboni e dalla febbre.
Quando la luce del giorno iniziò a calare finalmente il silenzio venne rotto, fu la creatura a parlare per prima:
«Costante, parlami della tua vita. Chi eri prima dell'avvento della piaga?»
Costante rimase per un attimo stupito dalla domanda. Decise che arrivati a quel punto non aveva senso interrogarsi sull'affidabilità dello straniero: peggio di così non poteva andare, e parlare un po' probabilmente lo avrebbe distolto dalle sofferenze.
«S-sono nato in una famiglia di contadini...» la voce gli usciva a stento, un bisbiglio quasi impercettibile, ma il ragazzo era sicuro che la creatura lo stesse ascoltando attentamente «… beh non c'è molto da dire. In effetti cosa si potrebbe pretendere dalla vita di un contadino?»
«Non eri contento della tua vita?» chiese lo straniero di rimando.
«È una domanda che non mi ero mai posto, non prima che arrivasse la peste. P-prima tutto scorreva velocemente, il lavoro n-non dava tempo di porsi certe domande, in effetti la v-vita mi andava bene così, era…s-semplice.» Calò di nuovo il silenzio. Dopo qualche minuto Costante proseguì «P-poi arrivò il flagello. Tutto andò a farsi benedire. I miei g-genitori f-furono fra i primi ad ammalarsi, p-però io e mio fratello siamo riusciti a s-sopravvivere e a gestire da s-soli il terreno. Credevo che sarei riuscito lo stesso a sposare Giuditta, che non tutto era perduto, m-mi ero convinto che mio fratello non si sarebbe mai ammalato, e invece è successo, troppo presto... t-troppo p-presto...troppo...» le parole si persero in un insieme di mugugni incomprensibili. Era stanchissimo, e la febbre gli stava salendo di nuovo. Provò a parlare, ma ebbe un rigurgito di bile che gli finì sul petto. Sentiva l'umido che si faceva strada attraverso la stoffa, ed iniziò a provare intensi brividi di freddo. «La casa... l-la nostra casa, l'hanno marchiata e b-bruciata..» vomitò altra bile. Ebbe un ultimo, disperato, momento di lucidità: Giuditta, doveva tornare da lei. In preda allo sconforto Costante sospirò «G-giuditta.. D-dove s-sei?» Poi, con tutta la voce che gli restava disse «Ehi, T-t-tu p-puoi aiutarmi?»
La domanda si perse nel nulla, e così fece anche la mente di Costante, che cadde in un sonno inquieto.

Il mattino seguente Costante si sentiva meglio, anche se i bubboni che avvertiva nelle gambe gli dolevano come non mai. Incredibilmente si era svegliato lucido, così pensò che la febbre doveva essersi abbassata nel sonno. Ebbe uno spasmo improvviso, iniziava a ricordare gli eventi del giorno prima e, in preda al panico, cercò di mettersi seduto  sebbene gli arti lo reggessero a malapena. Riuscì a indietreggiare fino a poggiare la schiena su un tronco. Quando finalmente si guardò attorno, lo travolse un altro fremito: aveva appena incrociato gli occhi con quella che riteneva un'allucinazione, e di nuovo li aveva dovuti distogliere immediatamente, erano accecanti come li ricordava attraverso i deliri della febbre.  «Tu sei vero?» chiese d’istinto. «Io esisto, come tu esisti. Adesso continua il tuo racconto di ieri sera. Chi è Giuditta?» Costante ebbe una fitta al cuore. «Si. Giuditta, la mia amata. Ci conosciamo fin da bambini, siamo vicini di casa, i nostri poderi confinano; siamo vissuti sempre in mezzo ai campi. Le famiglie erano già d'accordo per il nostro matrimonio, tutto andava bene.» Costante sospirò. «Poi sono arrivate prima la carestia e poi la peste. Quando rimasi senza la mia casa loro mi ospitarono solo ad una condizione: dovevo dargli la mia terra, la terra della mia famiglia;  non mi vedevano più bene come prima, avevano paura che anche io fossi malato, ma loro erano ciechi, ciechi all'amore che lega me e Giuditta, se ci fossimo sposati le terre sarebbero state di nuovo mie di diritto un giorno,  tutto sarebbe tornato a posto. Ora invece eccomi qui, proprio quando mi stavo convincendo che tutto si poteva sistemare.» Si lasciò andare ad un sorriso amaro.
Alzò lo sguardo fino a trovare le gambe della creatura, cercando una parvenza di dialogo:
«T-tu hai mai avuto una donna?»
«Mi domandi se io ho mai provato il sentimento che voi chiamate amore. Posso rivelarti che sono in grado di percepire qualcosa di simile, ma non a livello individuale.» Costante comprese poco della risposta ricevuta. L'estraneo proseguì: «Avresti trovato sollievo se ti avessi rivelato somiglianze tra me e te?»
«B-beh. Forse avresti potuto capire m-meglio il dolore che provo.»
«Mi dispiace, non sono qui per alleviare i mali del vostro mondo. Ma solo per osservarlo.»
«Q-quindi n-non mi aiuti?» A questa domanda l'essere non rispose; calò il silenzio. Costante non ebbe né il coraggio né la forza di porre ulteriori domande e si lasciò cadere in un sonno sempre più ricco di tormenti.

Quando i primi raggi del sole filtrarono attraverso i rami Costante aprì gli occhi. Questa volta la notte non aveva giovato alla sua salute: il ragazzo non riusciva a muovere nessun arto, segno che la malattia era giunta allo stato ultimo. Alcune delle pustole sotto alle ascelle erano esplose ed un odore rancido si era diffuso attraverso i vestiti umidi, aumentando il suo disagio. Lui quell’odore lo conosceva bene.
La solita voce ruppe il silenzio: «Costante, ormai il tempo è poco, devo chiederti un'ultima cosa.» A queste parole l'animo del poveretto ebbe un sussulto di gioia e rabbia assieme.
“Perché mai questa creatura dove continuare a tormentarmi tutto il giorno?” pensò. Ma  la paura di rimanere solo ebbe il sopravvento, così restò in silenzio, aspettando che lo straniero finisse la sua richiesta. «Costante, come immaginavi il tuo futuro senza la piaga?»
La voce del ragazzo ormai era ridotta ad un rantolo quasi incomprensibile «Io, io dovevo sposare Giuditta, avere dei bambini con lei e portare avanti il lavoro dei miei genitori, non chiedevo troppo in fondo... Forse Dio non vuole la mia felicità? Io-» Lo straniero per la prima volta interruppe il ragazzo: «La verità, Costante, la verità...» A questo punto le lacrime si fecero strada sul volto del giovane mentre la rabbia della disperazione gli invadeva la mente «Quei vecchi! Dovevano morire loro! Avrei avuto la mia vita felice con Giuditta senza di loro... Bastardi! Bastardi maledetti!» Costante non stava nemmeno più parlando, ma gli urli nei suoi pensieri avevano raggiunto sicuramente la creatura.
Infine la ragione lo abbandonò del tutto.
«Non posso perdere tutto così! Aiutami tu! Ti prego! Aiutami! Aiutami! Dio, ascoltami per una volta!»  Ma per quanto cercasse di urlare, attorno a lui regnava il silenzio. «Ti supplico, guariscimi! Giuditta non può vivere senza di me! Non voglio morire! Guariscimi!» Nonostante dalla bocca di Costante non fosse uscito nessun suono lo straniero rispose a voce alta: «Non aver paura Costante, hai detto di essere soddisfatto della tua vita prima della piaga, ma non puoi fare tesoro della vita senza aver fatto esperienza anche della morte. Ora, alla fine, sii soddisfatto di ciò che sei e di ciò che sei stato.» Di queste parole, così nette, Costante poteva ormai comprendere ben poco, ma il tono fermo dello straniero aveva placato il suo animo: era vero dopotutto, lui era stato felice, e come tutte le cose anche la felicità si estingue. «Voi uomini avete sempre cercato di ottenere la vita eterna, ma ricorda, l'eternità non fa altro che togliere valore all'esistenza e a ciò che essa rappresenta per tutti noi.» Con queste parole che gli risuonavano nella mente Costante decise di abbandonarsi ad un sonno tranquillo e senza incubi.

«Apri gli occhi.» Costante ci riuscì. Era stato adagiato con la schiena poggiata ad un ceppo d'albero e, anche se a fatica, si guardò attorno. Non aveva più alcuna percezione del suo corpo, la vista era l'unico segnale che gli faceva comprendere di essere ancora vivo, e che “lui” era sempre lì a fissarlo. Era tranquillo, ormai non aveva più senso lamentarsi. Vi era un solo pensiero fisso nella mente del ragazzo, una sensazione di attesa quasi positiva, che gli permetteva di vedere la fine di tutto come una liberazione.
Non riusciva nemmeno più a trovare il senso dei suoi pensieri per Giuditta, tutto aveva perso di significato. Ma per Costante ora si trattava solo di attendere il momento.
«Ora sei pronto. Guardami.»
Il ragazzo incrociò per la terza volta lo sguardo dell'essere, riuscendo finalmente a sostenerlo. Anzi, gli era impossibile distoglierlo, tutta quella luce gli provocava un senso di pace totale. «Grazie Costante, ora conosco pienamente il significato di “vita” che avete voi umani.»
Rimasero a fissarsi, finché l'ultimo pensiero di Costante si perse nella luce.  

*

Era ormai passata una settimana da quando Giuditta aveva dovuto dire addio al suo amato.
La ragazza aveva passato gli ultimi giorni nella disperazione più totale, rifiutando ogni contatto coi genitori, restandosene chiusa dentro la sua stanza.
Quella mattina aveva deciso di restare stesa sul letto, assaporando le lacrime che avevano impregnato il cuscino. Non dava più peso a nulla ormai. Nemmeno ai colpi incessanti sul portone di casa che avvertiva sotto di lei.
Sentì i passi attutiti di sua madre che si affrettava per le scale. Dopo poco Giuditta avvertì la porta principale scattare. Ci fu un tonfo. Giuditta udì un grido di sua madre: «Tu!», la donna probabilmente era caduta a terra.
«Si. Sono io.» Sentendo quella voce  la ragazza provò un brivido di felicità e scattò fuori dalla stanza, precipitandosi giù dalle scale.

1 commento:

  1. «C-chi sei?» Le parole gli erano uscite quasi senza volerlo.
    «Così come mi vedi ora, nessuno.»

    Non so, questo genere di risposte mi ricorda un certo araldo di cui abbiamo fatto la conoscenza l'ultima volta xD
    Scherzi a parte, è figo direi, e ho una vaga idea su come continuerà...Staremo a vedere se sarà come dico io o meno ù.ù

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