Ed eccoci giunti al settimo capitolo della traduzione di "Strangeness in the Proportions", l'ultimo del primo atto per la precisione. Qualcosa inizia finalmente a muoversi e la storia pare prendere una piega inaspettata!
Come sempre i ringraziamenti vanno all'editor Sara che continua il suo eccellente lavoro sulle bozze del sottoscritto.
Dunque bando alle ciance e andiamo con le informazioni di servizio:
Prologo: http://nopipeblog.blogspot.it/2013/12/stranezze-di-proporzioni.html
Capitolo 1: http://nopipeblog.blogspot.it/2013/12/stranezza-di-proporzioni-capitolo-1.html
Capitolo 2: http://nopipeblog.blogspot.it/2013/12/stranezza-di-proporzioni-capitolo-2.html
Capitolo 3: http://nopipeblog.blogspot.it/2013/12/stranezza-di-proporzioni-capitolo-3.html
Capitolo 4: http://nopipeblog.blogspot.it/2014/01/stranezza-di-proporzioni-capitolo-4.html
Capitolo 5: http://nopipeblog.blogspot.it/2014/01/stranezza-di-proporzioni-capitolo-5.html
Capitolo 6: http://nopipeblog.blogspot.it/2014/01/stranezza-di-proporzioni-capitolo-6.html
Ed ecco il link dove acquistare il libro inglese in formato Ebook o cartaceo:
http://www.drivethrufiction.com/product/96994/Strangeness-in-the-Proportion
Godetevi il capitolo! Alla prossima settimana per l'inizio del secondo atto!
Interludio:
Predizioni
"Cosa
dice la tua predizione?"
"Se
te lo dico, potrebbe non avverarsi."
"Oh,
avanti."
"No."
"Cosa
devo fare per fartelo dire?"
"Ora
questa è
una domanda interessante."
L'uomo
nella scatola non reagisce quando gli faccio le smorfie, si produce
soltanto nel suo ghigno da Pulcinella. Un momento fa, ho nutrito la
scatola con due monete e l'uomo all'interno è tornato in vita,
sogghignando.
E'
un mago, e aveva sventolato le mani mentre i suoi guanti brillavano
sul suono distorto di lampi antichi. Un biglietto di carta era
scivolato fuori.
"Dai
dimmi la tua predizione" dice lei.
"Credo
mi abbia fatto l'occhiolino."
"Sei
sciocco. E stai cambiando argomento."
"Tu
mi fai diventare sciocco."
"Navy
Pier è stata una buona idea."
"Felice
anniversario."
Si
lancia tra le mie braccia e io le afferro il culo, quel
culo che ancora mi fa girare la testa, e il biglietto di carta è
accartocciato
tra la mia mano e
quel culo, e ci baciamo mentre il vento si alza dal lago.
"Mmmmm...
davvero una buona idea," dice lei.
"Beh,
sono un brillante io, lo sai."
"Quindi
qual è il programma, brillante?"
"Beh,
pensavo che potremmo dare un'occhiata alla band dal vivo e ondeggiare
ballando alla fine del molo, stancarci, e più tardi, farlo sulla
Ferris Wheel."
Tutti
e due guardiamo in alto all'immensità luminosa della ruota.
Lei
sorride e mi fa di nuovo girare la testa.
"Mmmmm.
Ci sarà, ovviamente, un numero copioso di costosi dolcetti comprati
nel frattempo."
"Certamente,
mia signora."
"Non
mi dici la tua predizione?"
"No."
"Sai,
potrei sedurti e fartela dire."
"Tentare
non nuocerebbe. Forse me la tirerai fuori più tardi."
Ci
teniamo per mano e camminiamo verso i suoni della grande band, sotto
il bagliore della ruota. Nell'altra mano, sento il biglietto di
carta. Dice:
Ti sta ingannando.
Si scopa Richard.
Lo
sospettavo. Quando l'ho letto, ho visto le parole, ma ho visto anche
le immagini: io in piedi sopra di lei, ansimante, mentre stringo la
mia mazza da baseball, crepata e macchiata. Il crollo delle tendine
del letto a baldacchino che calano su di noi come alla fine di uno
spettacolo.
Ce
ne andiamo passeggiando, mano nella mano. Tengo la mia predizione al
sicuro nella tasca.
Capitolo
7
C'era
una volta un piccolo ragazzino, chiamato Simon, che aveva una
compulsione.
Simon
entrava nel bagno.
Ogni
qual volta il piccolo Simon entrava in un bagno, che fosse familiare
o estraneo, doveva assecondare la sua compulsione prima di poter
anche solo pensare di urinare.
Simon
stava di fronte alla doccia, la tendina di plastica chiusa, un
portale per cose sconosciute. Il piccolo Simon raggiungeva e spostava
le tendine di capelli neri che pendevano proprio di fronte ai suoi
occhi. Afferrava
a due
mani le
tendine della
doccia, prendeva due profondi respiri---respiri attenti. Una volta
era andato in iperventilazione, di fronte alla doccia, prima che
potesse occuparsi dei suoi affari. Quella
volta fu
opprimente e sporco.
Simon
stritolava le tendine, un rilassante color lavanda con disegni di
conchiglie, e poi
le apriva
brutalmente.
Nulla.
Il
piccolo Simon faceva spallucce, si occupava dei propri affari, si
lavava persino le mani con il sapone a forma di conchiglia, e usciva,
spegnendo la luce su un altro mistero. Poi Simon crebbe. La paura
andò via, ma la compulsione rimase, ugualmente forte. Uno può
ancora udire la sferzata delle tendine che volano aprendosi in
qualunque bagno Simon visiti. Forse Simon non era così spaventato da
cosa avrebbe trovato scostando
le tendine, ma di cosa vi sarebbe rimasto se non lo avesse fatto.
* * * * *
Lunedì.
Ha
scaricato il pesciolino. Ha seppellito il cane.
La
scorsa notte, ha fatto una promessa. La scorsa notte, ha baciato un
cadavere.
Più
avanti, mi avrebbero chiesto cos'altro avessi fatto, Jane---mi
avrebbero chiesto se avessi fatto quello.
Una domanda non educata, per niente educata...
E'
lunedì e si sente apprensivo. Non come il ricorrente Blues del
Lunedì con cui la maggior parte della popolazione si sveglia
all'alba di ogni settimana. Simon non ha mai capito del tutto quel
cerimoniale---l'esaltante
gioia del venerdì e la quieta disperazione e morte dei sogni di
lunedì. Speranza infetta di cancrena. Il costante ciclo di gioia e
dolore, ancora e ancora, come se fosse la prima volta, ogni volta,
ancora e ancora, come un segnale alieno che ognuno ha recepito, come
l'ipnotismo chimico dei feromoni che l'ape regina usa per controllare
i droni. Il ciclo di tristezza, poi il rinnovamento e indietro
ancora, come un serpente che si libera dalla pelle morta, mentre sta
affogando sulla sua stessa coda. Osservateli mentre si dibattono tra
le fauci, le mandibole zannute e seghettate della skyline di Chicago,
gli scheletri che marciscono nelle cavità e un fiume putrido di
infezione gengivale che scorre tra i denti rotti. Osservateli mentre
si affrettano tutti nel loro alveare-griglia di acciaio-cemento, i
parafulmini più alti che fanno il dito medio all'Altissimo e alle
nubi di tempesta che passano.
Cos'è
il miele, Jane, e chi sono i mietitori?
Sono
i Lunedì.
E'
apprensivo, incerto su come mantenere le sue promesse ai morti.
Eppure lunedì porta anche nuove speranze: analisi del DNA nel sangue
e nella pelle che ha trovato sotto le unghie di lei e possibilmente
nuovi ritrovamenti nelle investigazioni della polizia. Forse Jane gli
confiderà i suoi segreti stanotte. Si. Stanotte
suona in modo speranzoso.
Ha
fatto una promessa.
Loro
devono pagare.
Lui
deve liberarla.
Apprensione...
lunedì però gli ha portato un nuovo soggetto, e questo
aiuta. Giù nel suo
seminterrato, sul suo tavolo personale da autopsia---oh, non lo usa
abbastanza spesso---con i suoi strumenti. Prima il bisturi. Poi la
sega a mano. Poi lo scalpello cranico. Taglia la carne. Pugnala le
cavità oculari. Estrae pugni di viscere bagnate.
Taglio
e sogghigno.
Taglio
e sogghigno.
Viscera
e sogghigno.
Quando
è finita, e Simon ha ripulito tutto, deve ammettere che è davvero
un bel Jack O'Lantern.
* * * * *
Il
sole diviene sempre più timido nel cielo di ottobre, ed è già buio
quando Simon arriva al lavoro. Niente Ufficiale Polhaus---un buon
presagio. Simon cammina con un molleggio extra nel suo incedere da
spaventapasseri. Può quasi assaporare la dose di Acqua Morta. Non
una dose qualunque, ma lo squisito travolgimento di Jane, la pace e
chiarezza di Jane. Ci sono così tante cose che vuole chiedere, così
tante cose che vuole dire---incidere Per
sempre felici e contenti con
acciaio chirurgico.
L'attesa
lo forza a cominciare a bere nel momento in cui esce dall'auto,
deglutendo sorsi dal suo thermos, ponendo le radici di assenzio che
germoglieranno e sbocceranno in lucida follia.
A
volte, Jane, mi chiedo se l'assenzio renda i miei occhi più verdi.
Simon
salterino saluta persino i conoscenti e i
colleghi,
incurante delle potenziali e terribili ramificazioni di tali
gesti---la spaventosa possibilità delle chiacchere. Mentre cammina
lungo i corridoi di linoleum, i colori già ondeggiano---le luci
scivolano, le linee si sciolgono. Un dracula disegnato a pastelli
dalle
scuole
elementari saluta
Simon con braccia di cera dalle proporzioni assurde. Simon saluta di
rimando. La persona alla scrivania, la madre che sta mostrando il
disegno di suo figlio, saluta Simon, pensando di essere coinvolta in
qualche modo in questo scambio.
L'albero
di assenzio cresce nella sua testa, l'albero fantasma e le Cornacchie
tutte a testa in giù nel suo cranio.
A
volte, Jane, mi chiedo se l'albero morto sia girato nel verso giusto
e tutto il resto sia sottosopra.
Le
Cornacchie cantano filastrocche---la loro poesia da mausoleo, le loro
rime da necro-beat---mentre Simon cammina, passando colleghi, facce e
targhette col nome, sorseggiando veleni segreti dal suo thermos, e
salutando. I suoi occhi danzano sui compagni e l'ufficio, porte e
luci fluorescenti, facce e decorazioni di Halloween distorte
dall'amore chimico. La sua mente è altrove, sui suoi occhi dorati e
le sue labbra fredde come settembre.
"Che
ha questa immagine?" chiedono le Cornacchie mentre osservano i
dintorni attraverso gli occhi di Simon. "Questa scena è
bacata."
Simon
le ignora. Cammina verso le ronzanti unità di refrigerazione e il
familiare profumo di entropia trattenuto ma che filtra attraverso le
crepe. Tocca l'acciaio inossidabile dello sportello di Jane. Le manie
nascono e i destini sono suggellati nel tempo che ci vuole ad aprire
una porta...
Vuoto.
Vuoto?
Vuoto!
Simon
chiude lo sportello e lo apre ancora. Fa scorrere fuori il ripiano,
lo fa scorrere dentro e ancora fuori. Vuoto. Una sorpresa da film
muto esagerata in modo estremo parte sulla faccia di Simon. Apre
brutalmente tutti gli sportelli dei congelatori, facendo scorrere
fuori i ripiani e chiudendoli ancora una volta, trovando cadaveri e
amici, ma non Jane. Apre e chiude sportelli, dentro e fuori, in
un'inconscia routine da vaudeville. Solo le Cornacchie notano, dalle
loro pertiche nei rami del per-sempre, e ridacchiano allo slapstick
da humor macabro di tutto quanto.
"Jane?"
chiama Simon, a voce alta, ma nessuno risponde. Persino i suoi amici
sono silenziosi. Nessun mormorio stanotte. Nessun sussurro avanti e
indietro tra i loro freddi letti.
Credo
che stessero quieti per proteggermi. Non volevano che andassi ancora
più a fondo. Eh, Jane?
Nel
laboratorio autopsie 6, Simon cerca le sue note scarabocchiate.
Sparite! Molla il raccoglitore, e va al computer.
Click-clack-click-clack-click-clack
fanno le sue dita
agitate sopra i tasti d'avorio, come dieci minuscoli uccelli
necrofagi che beccano un teschio. Click-clack-click-clack.
Spariti! Nessun file
digitale su Jane, nemmeno la cartella.
Nemmeno
un file audio. Nessuna traccia di Jane.
Il
mento di Simon ha un tremito. Si aggiusta gli occhiali. Li aggiusta
ancora. Fa scorrere le sue lunghe dita in mezzo agli scuri capelli
arruffati. Percorre la stanza, le mani che stringono pugni di
capelli---percorre la stanza negli spasmi traballanti
dell'assenzio---il nostro delirante eroe da film muto, il nostro
Charlie Chaplin sconfitto.
Questo
era successo altre volte. Dei cadaveri erano spariti. Reeves.
"Non
ha mai rubato i miei file prima d'ora," dice Simon a nessuno a
parte le Cornacchie. "Non li ha mai cancellati."
Simon
ha un viso giovane, liscio e senza linee, questo perchè raramente
accartoccia la faccia, la maggior parte del tempo indossa
un'espressione stupita alla Buster Keaton. Ora però il suo labbro fa
una cosa divertente; si arriccia in preda all'ira, i muscoli della
bocca che fremono dalla mancanza d'uso. Stritola il suo bisturi.
Questo
era successo altre volte. Dei corpi erano spariti---assorbiti da
Reeves, la loro carne morta che lo rende un po' più giovane, più
ricco. Simon era stato arrabbiato, allora come adesso, ma la rabbia
non era mai durata, era sempre diventata gelatina al limone negli
arti. Chi gli crederebbe comunque? Chi crederebbe al Ghoul? La
gelatina al limone si scioglierebbe e lui crollerebbe sulla sedia.
Simon
crolla.
"Jane..."
Eppure
il suo thermos è già vuoto. L'albero fantasma è cresciuto nel suo
cervello, l'antenna plutonia pronta a trasmettere all'Acqua
Morta---ma non c'è nessuno, niente viscere luccicanti, niente
ingresso a forma di Y. Le cornacchie beccano la corteccia morta,
agitate. Tutto quello che Simon può vedere è la sempre-sorridente
faccia del Dottor Reeves. E le cornacchie gracchiano:
"Click-clack-crack---quel
verme necrofago" dicono.
"Quel
necro-pirata saccheggiatore di cadaveri."
"Quell'avvenente-avvenente
avvoltoio!"
"Figlio
di sua madre!" urla Simon, perchè Simon non impreca mai.
Fa
scoccare il polso e il bisturi vola, seppellendosi in mezzo agli
occhi del Dottor Reeves, in una foto, su un ritaglio di giornale
appuntato alla bacheca di sughero.
"Così
si fa, Simon," gracchiano le Cornacchie.
"E'
uno sport, Simon."
"Follia-folaga-falce---agisci!
Riprenditi la ragazza."
Simon
si alza. Afferra la maniglia della porta---la lascia andare---la
riprende ancora---lascia andare e percorre la stanza. A chi potrebbe
parlare? Cosa potrebbe dire?---lui,
il Ghoul, il tizio che ha sempre difficoltà a rispondere a domande
del tipo: "Come va?"
I
dubbi si contorcono nella sua testa e giù per la spina dorsale in
una natività verminosa.
"Jane..."
Pensa
ai suoi occhi dorati. Le sue labbra. Il suono della sua debole voce,
il suo respiro, attraverso quelle labbra. Pensa alla ragazza che ha
conosciuto nell'Acqua Morta e alle
giostre
ridacchianti nei parchi giochi del pre-ottobre.
Ed
è abbastanza.
Le
Cornacchie piombano in basso e divorano le larve del dubbio.
Simon
apre la porta.
Simon
esce.
I
corvi spettrali nella sua testa sono gli unici che realizzano la
spaventosa importanza dei portali.
* * * * *
Dobbiamo
parlare.
---Simon
---dice
la targhetta per morti appuntata alla bacheca dei messaggi sulla
porta chiusa a chiave dell'ufficio del Dottor Reeves.
* * * * *
Deve
aver pianto.
La
targhetta col nome dice Amy.
Qualcosa
di rumoroso e veloce vibra fuori dalle sue cuffiette per iPod, e non
nota,
da dentro il suo bozzolo di suono,
Simon che si avvicina.
"Amy."
"Ahh!"
Amy urla, saltando indietro.
Simon
salta ancora più indietro, atterrando, acquattato, su una sedia di
fronte alla scrivania di Amy, un piede sul sedile, l'altro teso sulla
cima del poggiaschiena. Le interazioni normali erano già abbastanza
terrificanti per lui senza gli urli.
"Oh...
Simon," dice Amy con sollievo, levando le cuffiette. "Wow.
Sei un bravo saltatore." I suoi occhi sono gonfi e rossi; il suo
respiro porta gli echi singhiozzanti dei passati singulti.
"Va
tutto bene?" chiede Simon, abbastanza sicuro che questa sia la
domanda più adatta da fare
in questa situazione sociale.
"Non
lo so, io..."
"Sei
mestruata?"
"Cosa?"
"Intendevo---uh...,"
Simon balbetta. Domanda sbagliata.
La
faccia di Amy si addolcisce. "E' una cosa strana. Non riesco
proprio a smettere di piangere stanotte. Voglio dire, sto bene. Va
tutto bene. Mi sono alzata oggi. Ho avuto un bel pranzo. Non sono
nemmeno... nel mio ciclo o altre cose. Va tutto alla grande. Sarà il
fatto che è lunedì, immagino."
Simon
si meraviglia del chiaro e spaventoso potere di questo giorno della
settimana.
"Amy,
dov'è finito il cadavere di Jane Doe?"
"Chi?"
"Jane
Doe. E' arrivata prima della fine della scorsa settimana. Vittima di
impiccagione, tutti nell'ufficio la chiamavano Jane Cascamorta."
"Nnnnoo.
Ne sei sicuro?"
"Devi
ricordartela! Lei---"
"Simon,
non ho nessuna Jane Doe, impiccata o altro, dalla scorsa settimana."
Gli spasmi dei singhiozzi colpiscono di nuovo Amy. Le sue espressioni
facciali non sono di aiuto a Simon; le espressioni facciali sono un
mistero per lui. Le guarda però le mani e la tensione che vi trova
dice che qualcosa è profondamente sbagliato.
"Mi---dis---pia---ce,"
dice Amy attraverso i singhiozzi.
"Non---so---cosa---mi---prende---oggi." Singhiozzi e
lacrime e muco viscoso. Simon, pietrificato, indietreggia, come se ci
fossero fiamme accese. Amy rimette le cuffiette nelle orecchie con la
velocità di un bambino che si tira le coperte sulla testa.
* * * * *
"Ma
che cazzo!"
Una
vena nella sua testa emerge, pulsando.
La
sua targhetta col nome dice Jason.
"Cazzo,
cazzo, cazzo, cazzo! Fottutissima merda, fottuta-merda, cazzo!"
Jason calpesta il pavimento della sala ristoro.
"Dov'è?
Era proprio qui. Dev'essere qui! Ho cercato in ogni fottuto posto in
cui poteva essere finita."
"Jason?"
"Cazzo!
Ghoul. Non arrivarmi così di nascosto."
"Scusa."
Jason
guarda in alto il soffitto. "Va bene, tutto questo sta
diventando fottutamente irritante. Dov'è la mia tazza da caffè? Era
proprio qui, proprio ora---proprio ora! Era piena di caffè. L'avevo
versato---proprio ora! Non può essere andata via. Piena di fottuto
caffè!"
Simon
nota che la luce della macchina del caffè non è nemmeno accesa.
"Jason
hai---?"
"Dev'essere
qui!" Jason si gira, improvvisamente guardando dritto verso
Simon. "L'hai presa tu?"
"No."
Jason
annuisce brevemente, continuando a cercare nella sala ristoro.
"Jason,
sai cos'è successo al cadavere di Jane Doe."
Jason
scuote la testa senza guardare, mentre sta cacciando la sua tazza.
"Tutti
la chiamavano Jane Cascamorta," continua Simon.
Jason
scuote la testa.
"L'hai
chiamata tu Jane Cascamorta. Hai cominciato tu."
"Ma
di che cazzo stai parlando? Guarda, Ghoul, trovami la mia tazza e io
ti troverò un cadavere. Agh!" Jason calcia il bordo di un
tavolo, ribaltandolo con un terribile botto, mentre fa marcia
indietro su un piede ovviamente danneggiato. Sbattendo all'indietro
contro il muro, scivola giù a sedere sul pavimento. Una singola
lacrima scorre giù lungo il suo viso, e Simon sente i denti
digrignanti. Jason sbatte la mano sul
muro, ancora e ancora.
"Deve
essere qui! Fottutamente qui. Perchè non riesco a trovarla cazzo!
Fottuta---tazza---niente---niente ha senso. Dev'essere qui cazzo..."
Simon
striscia fuori dalla sala ristoro.
* * * * *
C'è
un taglio sulla sua fronte.
La
sua targhetta col nome dice Brad.
"No...,"
dice Brad, distante. "Io... non ricordo Jane Cascamorta. Sei
sicuro che... uh..."
"Hai
un---" Simon fa un gesto verso la sua testa "---un taglio."
Le
gocce di sangue scolano giù sulle
sopracciglia di Brad. Tocca il sangue con un dito.
"Oh,
amico, Huh... wow. Mi sa di si."
"Com'è
successo?"
"Io...
uh... amico." Brad ridacchia debolmente. "La cosa più
assurda. Non saprei proprio. Forse... devo aver sbattuto in un
armadietto o nello spigolo di un tavolo o roba del genere e non...
non me sono accorto. Strano."
"Niente
fidanzata stanotte?" Chiede Simon, notando il cappotto di pelle
da donna sul tavolo.
"Se
n'è andata... o qualcosa del genere. Credo... a..." Brad si
trascina via, il sangue che gli cola sulla guancia adesso.
Simon
lascia la stanza, sentendo un'ansia improvvisa per non essere lì
quando le gocce di sangue colpiranno il pavimento---sebbene non
sappia dire il perchè.
* * * * *
Sembra
che stia per cadere.
Simon
non ha bisogno di vedere la sua targhetta.
"Dottoressa
Fulani?"
"Oh.
Simon," dice lei in una voce piatta, niente del solito suono
sciropposo
trasudante potere.
"Io proprio... Mi sento... così stordita. Non so perchè.
Come... carenza di zuccheri... o---"
Le
sue ginocchia cominciano a cedere e Simon trascina una sedia verso di
lei, mette una mano affrettata sulla sua spalla.
"No!"
urla lei, gli occhi improvvisamente spalancati, le labbra tremanti.
"Non
toccarmi! Non farlo! Oh-no-no-no-no!"
Simon
si blocca, sia per lo scatto improvviso sia nel vedere una donna così
forte e ostinata in uno stato come questo. Oba Fulani trema
violentemente, cadendo sulla sedia, la testa che si piega da una
parte all'altra, tirata in basso dal suo stesso peso.
"Oh.
Mi dispiace. Non intendevo---Non so perchè sono così... confusa.
Non so cos'abbia oggi."
Simon
annuisce, lasciando la stanza. Lui sa. Le Cornacchie lo gridano
attraverso i suoi timpani.
"La
faccenda dei Lunedì!"
"I
Lunedì hanno preso anche lei."
"Prega
che non vengano mai da te."
* * * * *
Da
qualche parte, lungo i corridoi, lui urla, "Dove cazzo è
finita!"
Da
qualche parte, lungo i corridoi, lei singhiozza,
"Perchè---non---riesco---a---smettere---di---piangere?"
I
Lunedì.
I
Lunedì!
Un'improvvisa
comprensione e disperazione arpiona e squarcia i pensieri di Simon.
E' lui la persona più sana nell'edificio? Quattro facce
familiari---quattro targhette col nome---quattro arcani minori nel
mazzo di tarocchi delle Stranezze. Qualcosa è profondamente
sbagliata.
Nessuno di loro lo vede nell'altro, ognuno perso nella propria testa.
Sarebbe Simon l'unico fuori dalla propria testa? Vorrebbe così tanto
nascondersi nella sua testa, se fosse però l'unico a farlo...
"I
Lunedì!" gracchiano le Cornacchie.
Jason
sbatte. Amy singhiozza. E il nostro eroe alla Charlie Chaplin che
cammina in cerchi irregolari per l'obitorio, incerto su dove stia
andando.
"Jane?"
Vorrebbe
davvero nascondersi nella sua testa, ma qualcosa è---
"I
Lunedì" sibilano le Cornacchie.
Gioca
con la sua bombetta nera e fischietta mentre cammina, per sviare il
terrore via via più profondo. I suoi occhi di malachite guizzano
ampi, qui e là, con paranoie da camaleonte.
Là.
Simon
smette di fischiare. Qualcosa si nasconde, appena terribilmente fuori
dalla visione periferica. Una figura. Che si avvicina. Simon guarda
dritto lungo il corridoio. Nulla.
Le
decorazioni di Halloween sibilano e si allungano verso Simon. Una
pena inspiegabile sanguina nel suo stomaco come un'ulcera spettrale.
La
sua sbornia di assenzio si inasprisce in vibrazioni nefaste.
"Salve?"
dice.
"I
Lunedì!" strillano le Cornacchie. "Vengono per te."
Qualcosa.
Si muove. Al limite della visione periferica. E Simon la
percepisce---quella paura.
Ricordate,
carissimi---quella paura? Quella pura, quel terrore
nell'armadio-sotto-il-letto-oltre-uno-specchio-nel-buio-spaventoso?
L'avevamo da bambini. Crescendo ce ne disfiamo, donandola ai
giovincelli come indumenti di seconda mano consunti nella forma di
scherzi e storie di fantasmi. Quasi ci manca la purezza della
sensazione. Non accendiamo più così spesso le luci. Non scappiamo
più quando le nostre schiene pizzicano. Quelle cose sono stupide.
Scambiamo quelle paure per complessi e dipendenze. Sacrifichiamo
quegli istinti all'altare insanguinato della maturità e a quel dio
così insidioso, il Disagio Sociale. Dimentichiamo. Dimentichiamo i
giochi---che uccidere mostri in un effige ridente ha potere.
Dimentichiamo di camminare oltre le crepe. Dimentichiamo che in
questo buio, buio mondo, il disagio può uccidere.
Simon
però, il disadattato, non esita quando sente quella paura.
Simon
se la dà a gambe.
"Follia-folaga-falce---vola,
Simon!" gracchiano le Cornacchie.
Simon
corre, a piena velocità, giù per i corridoi del suo lavoro.
Sguardi
confusi e conoscenti non lo rallentano. Il disagio non lo turba. Le
gambe da spaventapasseri hanno un'andatura ampia e i suoi piedi da
Buster Keaton vanno più veloci della luce. Scatta, sbanda in mezzo
ai coroner, salta gli ostacoli, e rotola oltre un bancone. Non è
facile scappare da un brivido sulla schiena. Il nostro lesto eroe da
film muto elude l'orrore ambiguo.
"Simon?"
lo chiama un collaboratore senza nome.
"Sono
i Lunedì---stanno arrivando---scappa!" grida Simon in mezzo ai
respiri.
Simon
si tuffa nel laboratorio autopsie 6---lo spazio familiare---il
familiare ronzio delle sue unità di refrigerazione e degli
amici. Simon
prende un bisturi dal ripiano, lo stringe, freddo e rassicurante.
Passa
un momento.
Poi
un altro.
Da
cosa stava scappando? Nulla? Le Cornacchie non danno risposte,
beccano solo i rami nella sua testa, affamate di Acqua Morta. Simon
guarda la lista di autopsie programmate, accarezza bramosamente gli
sportelli di metallo. Anche lui è affamato di amore morto. Oh, solo
uno. E' più difficile essere spaventati nella stanza così
familiare.
Poi
i suoi amici, tutti i suoi amici nei loro freddi letti, mormorano
tutti insieme.
Arriva!
Sussurrano, tutti
echeggianti nel loro coro mormorante: arriva-arriva-arriva-arriva.
Simon
spegne la luce, si tuffa dietro il tavolo di acciaio inossidabile, e
impugna il suo bisturi come un rosario.
Passa
un momento.
E
un altro ancora.
E'
passato, sussurrano i
suoi amici nei loro piccoli e freddi letti.
Passato-passato-passato-passato.
Simon
si alza, nascondendo il bisturi.
"Questa
casa è fatta di paglia," dice una Cornacchia.
"Dovresti
trovarne una fatta di fiammiferi," dice un'altra.
"O
di mattoni!" dice una terza.
Simon
guarda fuori dalla porta. Niente a destra. Niente a sinistra. Quasi
lo manca, un riflesso sul linoleum---le tracce leggere di impronte
bagnate che si susseguono lungo il corridoio, passando oltre il
laboratorio autopsie 6.
Simon
corre nella direzione opposta. Corre mentre si guarda indietro.
Una
mano lo tocca nel petto.
La
reazione è automatica, appena una mezza-scintilla in una sinapse e
la sua mano fa il movimento così perfezionato, allenato,
condizionato, così impossibilmente veloce. Dita vuote si innalzano,
un movimento del polso, e uno scintillante bisturi impugnato
minacciosamente.
"Imbroglio
dalle dita eccezionali," tuba una Cornacchia.
"Whoa---hey,
Simon," dice Brad. "Bel trucco. Come hai fatto?"
Simon
abbassa il bisturi. "E' solo un---sangue," dice, indicando
la faccia di Brad.
Brad
ha ancora il taglio aperto sulla fronte, il sangue ancora cola
pigramente giù per il suo viso. Ora sgocciola dal mento. Toccandosi
la guancia, rintraccia il sangue appiccicoso fino al taglio.
"Ow!
Oh, amico. Non... Non ricordo neppure dove me lo sono fatto..."
Simon
esamina gli occhi di Brad.
"No,
non è scosso," proclama una Cornacchia.
"Concordo,"
dice un'altra.
"Concordo."
Giù
per il corridoio, Jason sbatte su un muro, urlando, "Ma dove
cazzo?! Perchè non riesco---perchè niente ha senso?"
Giù
per il corridoio, Amy singhiozza,
"Che---cosa---mi---succede--ee--ee?"
"Simon,"
dice Brad pigramente, confusamente, con una faccia lucida di sangue,
"hai visto la mia ragazza?"
"I
Lunedì," strillano i corvi. "Arrivano!"
La
sbornia di assenzio prende un'altra deriva aspra mentre le
decorazioni di Halloween ora sanguinano dalle varie teste. Tutte loro
mormorano, facendo a Simon domande imploranti, domandano sanguinando
tutte insieme.
Poi
Simon lo vede ancora: qualcosa che si muove, appena al di fuori della
sua visione periferica, che avanza avvicinandosi.
Un
colpetto di polso e il bisturi svanisce. Entrambe le mani prendono la
maglia di Brad e Simon lancia tutti e due oltre la più vicina porta
di un bagno pubblico.
"I
Lunedì," strillano le Cornacchie.
Simon
spinge la porta chiudendola.
"Simon,
ma che diavolo?" chiede Brad.
"Dovresti
pulire quella ferita," dice Simon.
"Giusto..."
Brad apre il rubinetto e pulisce il sangue dal suo viso. "Amico...
come me lo sono fatto?"
Simon
si prodiga in un lungo ed esagerato lavaggio delle mani, togliendosi
il cappello e lisciando la zolla di rovi aggrovigliati che sono i
suoi capelli sudati, poi raddrizzandosi la cravatta nera. Prima che
se ne accorga, Brad ha finito di pulire la sua ferita.
"A
dopo, Simon."
"Brad,
aspetta!"
"Cosa?"
"Io..."
Nessun'altra parola però esce dalla bocca di Simon.
"Amico,
ma che hai?"
"La
faccenda dei Lunedì," risponde Simon, sconfitto.
Brad
scuote la testa ed esce. I suoi passi rimbombano giù nel corridoio.
Niente li interrompe.
Colpetto
di polso. Bisturi. Si tuffa in una cabina. Chiude la porta col
chiavistello. Simon si poggia su un gabinetto, le gambe portate sopra
il water, così da non penzolare alla vista, in quello spazio tra il
pavimento e la cabina.
Ricordo,
Jane, ricordo da ragazzino l'agitazione nel letto e il terrore di una
gamba che pende oltre il bordo.
Nocche
bianche, lama di acciaio inossidabile e silenzio. Nemmeno le
Cornacchie osano fare un suono.
Passa
un momento.
E
un altro.
I
gambi del granturco sussurrano macchinazioni di omicidi in un
silenzio di questa qualità.
La
porta non si è appena aperta e chiusa? Si è immaginato il suono?
Silenzio.
Le
luci si spengono con un click.
Occhi
spalancati, non abituati al buio. Impugna il bisturi. Trattiene il
respiro. Guarda in basso. Buio. Guarda in alto. Buio---
No...
Simon
crede di immaginarselo, un lampo nell'occhio della mente, un graffio
sulla cornea. Ma ce ne sono due, e brillano fievoli, davvero fievoli.
Due occhi.
Simon
cade dal gabinetto, atterrando sul pavimento e sul suo sedere.
Il
bisturi sferraglia e piomba nell'invisibile acqua del gabinetto.
Gli
occhi sono ancora lì---una debole, pallida bioluminscenza blu, come
quei pesci che vivono a centinaia di metri di profondità
nell'oceano, zanne di vetro, simmetrie impossibili, e parti lucenti.
Creature che non vedono mai il sole. Gli occhi guardano in basso nel
buio, puntando oltre a dove dev'essere lo spazio aperto tra il
soffitto e la cabina. Gli occhi guardano in basso, gigantescamente in
basso, e Simon non può respirare sotto la pressione gioviana del
loro sguardo fisso, non può distogliere la vista. La sua mano però
serpeggia dentro il gabinetto in cerca del suo bisturi.
Gli
occhi non hanno viso o corpo nel buio. Lentamente fluttuano dentro la
cabina. Lentamente, in modo così orribilmente lento, si abbassano,
giù verso Simon. La sua mano setaccia in mezzo a carta igienica
bagnata e sozzura, cercando. Ma non riesce a trovarlo. Gli occhi si
abbassano e Simon ancora non riesce a vedere la faccia. Solo gli
occhi. I pianeti. Simon è un insetto. La sua mano si agita in mezzo
all'acqua fredda, carta bagnata, e merda.
Sono
distanti appena un
piede eppure
tutto quello che può vedere sono gli occhi.
Simon
ancora non riesce a respirare, non riesce a distogliere lo sguardo;
non glielo lasceranno fare. Un qualche profondo, profondo istinto
selvaggio, sepolto sotto generazioni di fast food e vita facile, gli
urla di scappare.
"Dimentica
il cadavere di Jane Doe," dice un bagnato sussurro
spacca-timpani. Vibra in tutte le cavità del corpo di Simon, come se
fosse accampato di fronte agli altoparlanti in un nightclub. "Non
è mai esistita---si? Io non sono mai esistito---si? Detesterai
questi ricordi e questa disperazione---si? Ti nasconderai dal trauma
e dimenticherai---si?"
La
voce e gli occhi sono le uniche cose che esistono, finchè le
Cornacchie non beccano l'albero di assenzio, per avere l'attenzione
di Simon.
"Dov'è
Jane?" chiede. E' l'unica domanda che riesce a udire sopra la
paura.
Gli
occhi scoccano di lato, perplessi---poi raddoppiano i loro sforzi.
Simon boccheggia. Può sentire il disprezzo che la cosa prova per
lui, come radicali liberi demoniaci che consumano le sue molecole,
odio a un livello subatomico.
"Dormi,"
dice il sussurro. Gli occhi da basilisco si concentrano, dissolvendo
tutto ciò che esaminano.
In
un frangente, i suoi genitori avevano provato l'ipnoterapia per
curare il suo squilibrio, ma il dottore, cedendo alla frustrazione,
non era mai riuscito a far entrare Simon in una vera e propria
trance.
"Dormi,"
dice il sussurro.
La
mente ossessiva di Simon si chiude a scatto su Jane. I suoi occhi
dorati sono il suo mondo.
"Dov'è
lei?" chiede attraverso i denti stretti, la sua mano che scava
in profondità in mezzo alle feci e alla disperazione e finalmente
trova il freddo acciaio.
Gli
occhi maligni divengono biechi e scattano verso la testa di Simon---
E
si fermano. Guardano di lato, percependo qualcosa che Simon non ha
potuto percepire. La cosa, la presenza, sibila all'intrusione.
L'intero bagno di riempie di sussurri. Simon sente il suo cuore
battere pericolosamente veloce, il suo corpo che si raffredda nel
pre-shock, un po' di urina che gli sfugge.
Le
tendine della doccia erano spalancate, aperte spalancate. Eh, Jane?
Gli
occhi tornano su Simon, abbaglianti, sempre con lo sguardo fisso,
fluttuano indietro verso l'alto e fuori in un orribile riavvolgimento
della loro entrata.
La
porta del bagno si apre e chiude.
Silenzio.
Simon
lascia andare un rumoroso afflusso d'aria, come se stesse emergendo
dal fondo di un oscuro lago. La sua mano schizza fuori dall'acqua
fetida, non impugna Excalibur, ma il bisturi e la merda. Calcia la
porta della cabina, aprendola, incespica attraverso le tenebre, fuori
dalla porta del bagno, giù per i corridoi, serpeggiando e
serpeggiando verso l'atrio.
Irrompe
attraverso le porte uscendo fuori nella notte---un'immensa notte che
sembra avvicendarsi e prendere nota di lui in modo assonnato.
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