lunedì 3 febbraio 2014

Stranezza di proporzioni: Capitolo 7



Ed eccoci giunti al settimo capitolo della traduzione di "Strangeness in the Proportions", l'ultimo del primo atto per la precisione. Qualcosa inizia finalmente a muoversi e la storia pare prendere una piega inaspettata!
Come sempre i ringraziamenti vanno all'editor Sara che continua il suo eccellente lavoro sulle bozze del sottoscritto.
Dunque bando alle ciance e andiamo con le informazioni di servizio:

Prologo: http://nopipeblog.blogspot.it/2013/12/stranezze-di-proporzioni.html

Capitolo 1:  http://nopipeblog.blogspot.it/2013/12/stranezza-di-proporzioni-capitolo-1.html

Capitolo 2: http://nopipeblog.blogspot.it/2013/12/stranezza-di-proporzioni-capitolo-2.html

Capitolo 3: http://nopipeblog.blogspot.it/2013/12/stranezza-di-proporzioni-capitolo-3.html

Capitolo 4: http://nopipeblog.blogspot.it/2014/01/stranezza-di-proporzioni-capitolo-4.html

Capitolo 5: http://nopipeblog.blogspot.it/2014/01/stranezza-di-proporzioni-capitolo-5.html

Capitolo 6: http://nopipeblog.blogspot.it/2014/01/stranezza-di-proporzioni-capitolo-6.html

Ed ecco il link dove acquistare il libro inglese in formato Ebook o cartaceo:

http://www.drivethrufiction.com/product/96994/Strangeness-in-the-Proportion


Godetevi il capitolo! Alla prossima settimana per l'inizio del secondo atto!






Interludio: Predizioni

"Cosa dice la tua predizione?"
"Se te lo dico, potrebbe non avverarsi."
"Oh, avanti."
"No."
"Cosa devo fare per fartelo dire?"
"Ora questa è una domanda interessante."
L'uomo nella scatola non reagisce quando gli faccio le smorfie, si produce soltanto nel suo ghigno da Pulcinella. Un momento fa, ho nutrito la scatola con due monete e l'uomo all'interno è tornato in vita, sogghignando.
E' un mago, e aveva sventolato le mani mentre i suoi guanti brillavano sul suono distorto di lampi antichi. Un biglietto di carta era scivolato fuori.
"Dai dimmi la tua predizione" dice lei.
"Credo mi abbia fatto l'occhiolino."
"Sei sciocco. E stai cambiando argomento."
"Tu mi fai diventare sciocco."
"Navy Pier è stata una buona idea."
"Felice anniversario."
Si lancia tra le mie braccia e io le afferro il culo, quel culo che ancora mi fa girare la testa, e il biglietto di carta è accartocciato tra la mia mano e quel culo, e ci baciamo mentre il vento si alza dal lago.
"Mmmmm... davvero una buona idea," dice lei.
"Beh, sono un brillante io, lo sai."
"Quindi qual è il programma, brillante?"
"Beh, pensavo che potremmo dare un'occhiata alla band dal vivo e ondeggiare ballando alla fine del molo, stancarci, e più tardi, farlo sulla Ferris Wheel."
Tutti e due guardiamo in alto all'immensità luminosa della ruota.
Lei sorride e mi fa di nuovo girare la testa.
"Mmmmm. Ci sarà, ovviamente, un numero copioso di costosi dolcetti comprati nel frattempo."
"Certamente, mia signora."
"Non mi dici la tua predizione?"
"No."
"Sai, potrei sedurti e fartela dire."
"Tentare non nuocerebbe. Forse me la tirerai fuori più tardi."
Ci teniamo per mano e camminiamo verso i suoni della grande band, sotto il bagliore della ruota. Nell'altra mano, sento il biglietto di carta. Dice:
Ti sta ingannando.
Si scopa Richard.

Lo sospettavo. Quando l'ho letto, ho visto le parole, ma ho visto anche le immagini: io in piedi sopra di lei, ansimante, mentre stringo la mia mazza da baseball, crepata e macchiata. Il crollo delle tendine del letto a baldacchino che calano su di noi come alla fine di uno spettacolo.
Ce ne andiamo passeggiando, mano nella mano. Tengo la mia predizione al sicuro nella tasca.





Capitolo 7

C'era una volta un piccolo ragazzino, chiamato Simon, che aveva una compulsione.
Simon entrava nel bagno.
Ogni qual volta il piccolo Simon entrava in un bagno, che fosse familiare o estraneo, doveva assecondare la sua compulsione prima di poter anche solo pensare di urinare.
Simon stava di fronte alla doccia, la tendina di plastica chiusa, un portale per cose sconosciute. Il piccolo Simon raggiungeva e spostava le tendine di capelli neri che pendevano proprio di fronte ai suoi occhi. Afferrava a due mani le tendine della doccia, prendeva due profondi respiri---respiri attenti. Una volta era andato in iperventilazione, di fronte alla doccia, prima che potesse occuparsi dei suoi affari. Quella volta fu opprimente e sporco.
Simon stritolava le tendine, un rilassante color lavanda con disegni di conchiglie, e poi le apriva brutalmente.
Nulla.
Il piccolo Simon faceva spallucce, si occupava dei propri affari, si lavava persino le mani con il sapone a forma di conchiglia, e usciva, spegnendo la luce su un altro mistero. Poi Simon crebbe. La paura andò via, ma la compulsione rimase, ugualmente forte. Uno può ancora udire la sferzata delle tendine che volano aprendosi in qualunque bagno Simon visiti. Forse Simon non era così spaventato da cosa avrebbe trovato scostando le tendine, ma di cosa vi sarebbe rimasto se non lo avesse fatto.

* * * * *

Lunedì.
Ha scaricato il pesciolino. Ha seppellito il cane.
La scorsa notte, ha fatto una promessa. La scorsa notte, ha baciato un cadavere.
Più avanti, mi avrebbero chiesto cos'altro avessi fatto, Jane---mi avrebbero chiesto se avessi fatto quello. Una domanda non educata, per niente educata...
E' lunedì e si sente apprensivo. Non come il ricorrente Blues del Lunedì con cui la maggior parte della popolazione si sveglia all'alba di ogni settimana. Simon non ha mai capito del tutto quel cerimoniale---l'esaltante gioia del venerdì e la quieta disperazione e morte dei sogni di lunedì. Speranza infetta di cancrena. Il costante ciclo di gioia e dolore, ancora e ancora, come se fosse la prima volta, ogni volta, ancora e ancora, come un segnale alieno che ognuno ha recepito, come l'ipnotismo chimico dei feromoni che l'ape regina usa per controllare i droni. Il ciclo di tristezza, poi il rinnovamento e indietro ancora, come un serpente che si libera dalla pelle morta, mentre sta affogando sulla sua stessa coda. Osservateli mentre si dibattono tra le fauci, le mandibole zannute e seghettate della skyline di Chicago, gli scheletri che marciscono nelle cavità e un fiume putrido di infezione gengivale che scorre tra i denti rotti. Osservateli mentre si affrettano tutti nel loro alveare-griglia di acciaio-cemento, i parafulmini più alti che fanno il dito medio all'Altissimo e alle nubi di tempesta che passano.
Cos'è il miele, Jane, e chi sono i mietitori?
Sono i Lunedì.
E' apprensivo, incerto su come mantenere le sue promesse ai morti. Eppure lunedì porta anche nuove speranze: analisi del DNA nel sangue e nella pelle che ha trovato sotto le unghie di lei e possibilmente nuovi ritrovamenti nelle investigazioni della polizia. Forse Jane gli confiderà i suoi segreti stanotte. Si. Stanotte suona in modo speranzoso.
Ha fatto una promessa.
Loro devono pagare.
Lui deve liberarla.
Apprensione... lunedì però gli ha portato un nuovo soggetto, e questo aiuta. Giù nel suo seminterrato, sul suo tavolo personale da autopsia---oh, non lo usa abbastanza spesso---con i suoi strumenti. Prima il bisturi. Poi la sega a mano. Poi lo scalpello cranico. Taglia la carne. Pugnala le cavità oculari. Estrae pugni di viscere bagnate.
Taglio e sogghigno.
Taglio e sogghigno.
Viscera e sogghigno.
Quando è finita, e Simon ha ripulito tutto, deve ammettere che è davvero un bel Jack O'Lantern.

* * * * *

Il sole diviene sempre più timido nel cielo di ottobre, ed è già buio quando Simon arriva al lavoro. Niente Ufficiale Polhaus---un buon presagio. Simon cammina con un molleggio extra nel suo incedere da spaventapasseri. Può quasi assaporare la dose di Acqua Morta. Non una dose qualunque, ma lo squisito travolgimento di Jane, la pace e chiarezza di Jane. Ci sono così tante cose che vuole chiedere, così tante cose che vuole dire---incidere Per sempre felici e contenti con acciaio chirurgico.
L'attesa lo forza a cominciare a bere nel momento in cui esce dall'auto, deglutendo sorsi dal suo thermos, ponendo le radici di assenzio che germoglieranno e sbocceranno in lucida follia.
A volte, Jane, mi chiedo se l'assenzio renda i miei occhi più verdi.
Simon salterino saluta persino i conoscenti e i colleghi, incurante delle potenziali e terribili ramificazioni di tali gesti---la spaventosa possibilità delle chiacchere. Mentre cammina lungo i corridoi di linoleum, i colori già ondeggiano---le luci scivolano, le linee si sciolgono. Un dracula disegnato a pastelli dalle scuole elementari saluta Simon con braccia di cera dalle proporzioni assurde. Simon saluta di rimando. La persona alla scrivania, la madre che sta mostrando il disegno di suo figlio, saluta Simon, pensando di essere coinvolta in qualche modo in questo scambio.
L'albero di assenzio cresce nella sua testa, l'albero fantasma e le Cornacchie tutte a testa in giù nel suo cranio.
A volte, Jane, mi chiedo se l'albero morto sia girato nel verso giusto e tutto il resto sia sottosopra.
Le Cornacchie cantano filastrocche---la loro poesia da mausoleo, le loro rime da necro-beat---mentre Simon cammina, passando colleghi, facce e targhette col nome, sorseggiando veleni segreti dal suo thermos, e salutando. I suoi occhi danzano sui compagni e l'ufficio, porte e luci fluorescenti, facce e decorazioni di Halloween distorte dall'amore chimico. La sua mente è altrove, sui suoi occhi dorati e le sue labbra fredde come settembre.
"Che ha questa immagine?" chiedono le Cornacchie mentre osservano i dintorni attraverso gli occhi di Simon. "Questa scena è bacata."
Simon le ignora. Cammina verso le ronzanti unità di refrigerazione e il familiare profumo di entropia trattenuto ma che filtra attraverso le crepe. Tocca l'acciaio inossidabile dello sportello di Jane. Le manie nascono e i destini sono suggellati nel tempo che ci vuole ad aprire una porta...
Vuoto.
Vuoto?
Vuoto!
Simon chiude lo sportello e lo apre ancora. Fa scorrere fuori il ripiano, lo fa scorrere dentro e ancora fuori. Vuoto. Una sorpresa da film muto esagerata in modo estremo parte sulla faccia di Simon. Apre brutalmente tutti gli sportelli dei congelatori, facendo scorrere fuori i ripiani e chiudendoli ancora una volta, trovando cadaveri e amici, ma non Jane. Apre e chiude sportelli, dentro e fuori, in un'inconscia routine da vaudeville. Solo le Cornacchie notano, dalle loro pertiche nei rami del per-sempre, e ridacchiano allo slapstick da humor macabro di tutto quanto.
"Jane?" chiama Simon, a voce alta, ma nessuno risponde. Persino i suoi amici sono silenziosi. Nessun mormorio stanotte. Nessun sussurro avanti e indietro tra i loro freddi letti.
Credo che stessero quieti per proteggermi. Non volevano che andassi ancora più a fondo. Eh, Jane?
Nel laboratorio autopsie 6, Simon cerca le sue note scarabocchiate. Sparite! Molla il raccoglitore, e va al computer. Click-clack-click-clack-click-clack fanno le sue dita agitate sopra i tasti d'avorio, come dieci minuscoli uccelli necrofagi che beccano un teschio. Click-clack-click-clack. Spariti! Nessun file digitale su Jane, nemmeno la cartella.
Nemmeno un file audio. Nessuna traccia di Jane.
Il mento di Simon ha un tremito. Si aggiusta gli occhiali. Li aggiusta ancora. Fa scorrere le sue lunghe dita in mezzo agli scuri capelli arruffati. Percorre la stanza, le mani che stringono pugni di capelli---percorre la stanza negli spasmi traballanti dell'assenzio---il nostro delirante eroe da film muto, il nostro Charlie Chaplin sconfitto.
Questo era successo altre volte. Dei cadaveri erano spariti. Reeves.
"Non ha mai rubato i miei file prima d'ora," dice Simon a nessuno a parte le Cornacchie. "Non li ha mai cancellati."
Simon ha un viso giovane, liscio e senza linee, questo perchè raramente accartoccia la faccia, la maggior parte del tempo indossa un'espressione stupita alla Buster Keaton. Ora però il suo labbro fa una cosa divertente; si arriccia in preda all'ira, i muscoli della bocca che fremono dalla mancanza d'uso. Stritola il suo bisturi.
Questo era successo altre volte. Dei corpi erano spariti---assorbiti da Reeves, la loro carne morta che lo rende un po' più giovane, più ricco. Simon era stato arrabbiato, allora come adesso, ma la rabbia non era mai durata, era sempre diventata gelatina al limone negli arti. Chi gli crederebbe comunque? Chi crederebbe al Ghoul? La gelatina al limone si scioglierebbe e lui crollerebbe sulla sedia.
Simon crolla.
"Jane..."
Eppure il suo thermos è già vuoto. L'albero fantasma è cresciuto nel suo cervello, l'antenna plutonia pronta a trasmettere all'Acqua Morta---ma non c'è nessuno, niente viscere luccicanti, niente ingresso a forma di Y. Le cornacchie beccano la corteccia morta, agitate. Tutto quello che Simon può vedere è la sempre-sorridente faccia del Dottor Reeves. E le cornacchie gracchiano:
"Click-clack-crack---quel verme necrofago" dicono.
"Quel necro-pirata saccheggiatore di cadaveri."
"Quell'avvenente-avvenente avvoltoio!"
"Figlio di sua madre!" urla Simon, perchè Simon non impreca mai.
Fa scoccare il polso e il bisturi vola, seppellendosi in mezzo agli occhi del Dottor Reeves, in una foto, su un ritaglio di giornale appuntato alla bacheca di sughero.
"Così si fa, Simon," gracchiano le Cornacchie.
"E' uno sport, Simon."
"Follia-folaga-falce---agisci! Riprenditi la ragazza."
Simon si alza. Afferra la maniglia della porta---la lascia andare---la riprende ancora---lascia andare e percorre la stanza. A chi potrebbe parlare? Cosa potrebbe dire?---lui, il Ghoul, il tizio che ha sempre difficoltà a rispondere a domande del tipo: "Come va?"
I dubbi si contorcono nella sua testa e giù per la spina dorsale in una natività verminosa.
"Jane..."
Pensa ai suoi occhi dorati. Le sue labbra. Il suono della sua debole voce, il suo respiro, attraverso quelle labbra. Pensa alla ragazza che ha conosciuto nell'Acqua Morta e alle giostre ridacchianti nei parchi giochi del pre-ottobre.
Ed è abbastanza.
Le Cornacchie piombano in basso e divorano le larve del dubbio.
Simon apre la porta.
Simon esce.
I corvi spettrali nella sua testa sono gli unici che realizzano la spaventosa importanza dei portali.

* * * * *
Dobbiamo parlare.
---Simon

---dice la targhetta per morti appuntata alla bacheca dei messaggi sulla porta chiusa a chiave dell'ufficio del Dottor Reeves.

* * * * *

Deve aver pianto.
La targhetta col nome dice Amy.
Qualcosa di rumoroso e veloce vibra fuori dalle sue cuffiette per iPod, e non nota, da dentro il suo bozzolo di suono, Simon che si avvicina.
"Amy."
"Ahh!" Amy urla, saltando indietro.
Simon salta ancora più indietro, atterrando, acquattato, su una sedia di fronte alla scrivania di Amy, un piede sul sedile, l'altro teso sulla cima del poggiaschiena. Le interazioni normali erano già abbastanza terrificanti per lui senza gli urli.
"Oh... Simon," dice Amy con sollievo, levando le cuffiette. "Wow. Sei un bravo saltatore." I suoi occhi sono gonfi e rossi; il suo respiro porta gli echi singhiozzanti dei passati singulti.
"Va tutto bene?" chiede Simon, abbastanza sicuro che questa sia la domanda più adatta da fare in questa situazione sociale.
"Non lo so, io..."
"Sei mestruata?"
"Cosa?"
"Intendevo---uh...," Simon balbetta. Domanda sbagliata.
La faccia di Amy si addolcisce. "E' una cosa strana. Non riesco proprio a smettere di piangere stanotte. Voglio dire, sto bene. Va tutto bene. Mi sono alzata oggi. Ho avuto un bel pranzo. Non sono nemmeno... nel mio ciclo o altre cose. Va tutto alla grande. Sarà il fatto che è lunedì, immagino."
Simon si meraviglia del chiaro e spaventoso potere di questo giorno della settimana.
"Amy, dov'è finito il cadavere di Jane Doe?"
"Chi?"
"Jane Doe. E' arrivata prima della fine della scorsa settimana. Vittima di impiccagione, tutti nell'ufficio la chiamavano Jane Cascamorta."
"Nnnnoo. Ne sei sicuro?"
"Devi ricordartela! Lei---"
"Simon, non ho nessuna Jane Doe, impiccata o altro, dalla scorsa settimana." Gli spasmi dei singhiozzi colpiscono di nuovo Amy. Le sue espressioni facciali non sono di aiuto a Simon; le espressioni facciali sono un mistero per lui. Le guarda però le mani e la tensione che vi trova dice che qualcosa è profondamente sbagliato.
"Mi---dis---pia---ce," dice Amy attraverso i singhiozzi. "Non---so---cosa---mi---prende---oggi." Singhiozzi e lacrime e muco viscoso. Simon, pietrificato, indietreggia, come se ci fossero fiamme accese. Amy rimette le cuffiette nelle orecchie con la velocità di un bambino che si tira le coperte sulla testa.

* * * * *
"Ma che cazzo!"
Una vena nella sua testa emerge, pulsando.
La sua targhetta col nome dice Jason.
"Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo! Fottutissima merda, fottuta-merda, cazzo!" Jason calpesta il pavimento della sala ristoro.
"Dov'è? Era proprio qui. Dev'essere qui! Ho cercato in ogni fottuto posto in cui poteva essere finita."
"Jason?"
"Cazzo! Ghoul. Non arrivarmi così di nascosto."
"Scusa."
Jason guarda in alto il soffitto. "Va bene, tutto questo sta diventando fottutamente irritante. Dov'è la mia tazza da caffè? Era proprio qui, proprio ora---proprio ora! Era piena di caffè. L'avevo versato---proprio ora! Non può essere andata via. Piena di fottuto caffè!"
Simon nota che la luce della macchina del caffè non è nemmeno accesa.
"Jason hai---?"
"Dev'essere qui!" Jason si gira, improvvisamente guardando dritto verso Simon. "L'hai presa tu?"
"No."
Jason annuisce brevemente, continuando a cercare nella sala ristoro.
"Jason, sai cos'è successo al cadavere di Jane Doe."
Jason scuote la testa senza guardare, mentre sta cacciando la sua tazza.
"Tutti la chiamavano Jane Cascamorta," continua Simon.
Jason scuote la testa.
"L'hai chiamata tu Jane Cascamorta. Hai cominciato tu."
"Ma di che cazzo stai parlando? Guarda, Ghoul, trovami la mia tazza e io ti troverò un cadavere. Agh!" Jason calcia il bordo di un tavolo, ribaltandolo con un terribile botto, mentre fa marcia indietro su un piede ovviamente danneggiato. Sbattendo all'indietro contro il muro, scivola giù a sedere sul pavimento. Una singola lacrima scorre giù lungo il suo viso, e Simon sente i denti digrignanti. Jason sbatte la mano sul muro, ancora e ancora.
"Deve essere qui! Fottutamente qui. Perchè non riesco a trovarla cazzo! Fottuta---tazza---niente---niente ha senso. Dev'essere qui cazzo..."
Simon striscia fuori dalla sala ristoro.
* * * * *

C'è un taglio sulla sua fronte.
La sua targhetta col nome dice Brad.
"No...," dice Brad, distante. "Io... non ricordo Jane Cascamorta. Sei sicuro che... uh..."
"Hai un---" Simon fa un gesto verso la sua testa "---un taglio."
Le gocce di sangue scolano giù sulle sopracciglia di Brad. Tocca il sangue con un dito.
"Oh, amico, Huh... wow. Mi sa di si."
"Com'è successo?"
"Io... uh... amico." Brad ridacchia debolmente. "La cosa più assurda. Non saprei proprio. Forse... devo aver sbattuto in un armadietto o nello spigolo di un tavolo o roba del genere e non... non me sono accorto. Strano."
"Niente fidanzata stanotte?" Chiede Simon, notando il cappotto di pelle da donna sul tavolo.
"Se n'è andata... o qualcosa del genere. Credo... a..." Brad si trascina via, il sangue che gli cola sulla guancia adesso.
Simon lascia la stanza, sentendo un'ansia improvvisa per non essere lì quando le gocce di sangue colpiranno il pavimento---sebbene non sappia dire il perchè.

* * * * *
Sembra che stia per cadere.
Simon non ha bisogno di vedere la sua targhetta.
"Dottoressa Fulani?"
"Oh. Simon," dice lei in una voce piatta, niente del solito suono sciropposo trasudante potere. "Io proprio... Mi sento... così stordita. Non so perchè. Come... carenza di zuccheri... o---"
Le sue ginocchia cominciano a cedere e Simon trascina una sedia verso di lei, mette una mano affrettata sulla sua spalla.
"No!" urla lei, gli occhi improvvisamente spalancati, le labbra tremanti.
"Non toccarmi! Non farlo! Oh-no-no-no-no!"
Simon si blocca, sia per lo scatto improvviso sia nel vedere una donna così forte e ostinata in uno stato come questo. Oba Fulani trema violentemente, cadendo sulla sedia, la testa che si piega da una parte all'altra, tirata in basso dal suo stesso peso.
"Oh. Mi dispiace. Non intendevo---Non so perchè sono così... confusa. Non so cos'abbia oggi."
Simon annuisce, lasciando la stanza. Lui sa. Le Cornacchie lo gridano attraverso i suoi timpani.
"La faccenda dei Lunedì!"
"I Lunedì hanno preso anche lei."
"Prega che non vengano mai da te."

* * * * *
Da qualche parte, lungo i corridoi, lui urla, "Dove cazzo è finita!"
Da qualche parte, lungo i corridoi, lei singhiozza, "Perchè---non---riesco---a---smettere---di---piangere?"
I Lunedì.
I Lunedì!
Un'improvvisa comprensione e disperazione arpiona e squarcia i pensieri di Simon. E' lui la persona più sana nell'edificio? Quattro facce familiari---quattro targhette col nome---quattro arcani minori nel mazzo di tarocchi delle Stranezze. Qualcosa è profondamente sbagliata. Nessuno di loro lo vede nell'altro, ognuno perso nella propria testa. Sarebbe Simon l'unico fuori dalla propria testa? Vorrebbe così tanto nascondersi nella sua testa, se fosse però l'unico a farlo...
"I Lunedì!" gracchiano le Cornacchie.
Jason sbatte. Amy singhiozza. E il nostro eroe alla Charlie Chaplin che cammina in cerchi irregolari per l'obitorio, incerto su dove stia andando.
"Jane?"
Vorrebbe davvero nascondersi nella sua testa, ma qualcosa è---
"I Lunedì" sibilano le Cornacchie.
Gioca con la sua bombetta nera e fischietta mentre cammina, per sviare il terrore via via più profondo. I suoi occhi di malachite guizzano ampi, qui e là, con paranoie da camaleonte.
Là.
Simon smette di fischiare. Qualcosa si nasconde, appena terribilmente fuori dalla visione periferica. Una figura. Che si avvicina. Simon guarda dritto lungo il corridoio. Nulla.
Le decorazioni di Halloween sibilano e si allungano verso Simon. Una pena inspiegabile sanguina nel suo stomaco come un'ulcera spettrale.
La sua sbornia di assenzio si inasprisce in vibrazioni nefaste.
"Salve?" dice.
"I Lunedì!" strillano le Cornacchie. "Vengono per te."
Qualcosa. Si muove. Al limite della visione periferica. E Simon la percepisce---quella paura.
Ricordate, carissimi---quella paura? Quella pura, quel terrore nell'armadio-sotto-il-letto-oltre-uno-specchio-nel-buio-spaventoso? L'avevamo da bambini. Crescendo ce ne disfiamo, donandola ai giovincelli come indumenti di seconda mano consunti nella forma di scherzi e storie di fantasmi. Quasi ci manca la purezza della sensazione. Non accendiamo più così spesso le luci. Non scappiamo più quando le nostre schiene pizzicano. Quelle cose sono stupide. Scambiamo quelle paure per complessi e dipendenze. Sacrifichiamo quegli istinti all'altare insanguinato della maturità e a quel dio così insidioso, il Disagio Sociale. Dimentichiamo. Dimentichiamo i giochi---che uccidere mostri in un effige ridente ha potere. Dimentichiamo di camminare oltre le crepe. Dimentichiamo che in questo buio, buio mondo, il disagio può uccidere.
Simon però, il disadattato, non esita quando sente quella paura.
Simon se la dà a gambe.
"Follia-folaga-falce---vola, Simon!" gracchiano le Cornacchie.
Simon corre, a piena velocità, giù per i corridoi del suo lavoro.
Sguardi confusi e conoscenti non lo rallentano. Il disagio non lo turba. Le gambe da spaventapasseri hanno un'andatura ampia e i suoi piedi da Buster Keaton vanno più veloci della luce. Scatta, sbanda in mezzo ai coroner, salta gli ostacoli, e rotola oltre un bancone. Non è facile scappare da un brivido sulla schiena. Il nostro lesto eroe da film muto elude l'orrore ambiguo.
"Simon?" lo chiama un collaboratore senza nome.
"Sono i Lunedì---stanno arrivando---scappa!" grida Simon in mezzo ai respiri.
Simon si tuffa nel laboratorio autopsie 6---lo spazio familiare---il familiare ronzio delle sue unità di refrigerazione e degli amici. Simon prende un bisturi dal ripiano, lo stringe, freddo e rassicurante.
Passa un momento.
Poi un altro.
Da cosa stava scappando? Nulla? Le Cornacchie non danno risposte, beccano solo i rami nella sua testa, affamate di Acqua Morta. Simon guarda la lista di autopsie programmate, accarezza bramosamente gli sportelli di metallo. Anche lui è affamato di amore morto. Oh, solo uno. E' più difficile essere spaventati nella stanza così familiare.
Poi i suoi amici, tutti i suoi amici nei loro freddi letti, mormorano tutti insieme.
Arriva! Sussurrano, tutti echeggianti nel loro coro mormorante: arriva-arriva-arriva-arriva.
Simon spegne la luce, si tuffa dietro il tavolo di acciaio inossidabile, e impugna il suo bisturi come un rosario.
Passa un momento.
E un altro ancora.
E' passato, sussurrano i suoi amici nei loro piccoli e freddi letti.
Passato-passato-passato-passato.
Simon si alza, nascondendo il bisturi.
"Questa casa è fatta di paglia," dice una Cornacchia.
"Dovresti trovarne una fatta di fiammiferi," dice un'altra.
"O di mattoni!" dice una terza.
Simon guarda fuori dalla porta. Niente a destra. Niente a sinistra. Quasi lo manca, un riflesso sul linoleum---le tracce leggere di impronte bagnate che si susseguono lungo il corridoio, passando oltre il laboratorio autopsie 6.
Simon corre nella direzione opposta. Corre mentre si guarda indietro.
Una mano lo tocca nel petto.
La reazione è automatica, appena una mezza-scintilla in una sinapse e la sua mano fa il movimento così perfezionato, allenato, condizionato, così impossibilmente veloce. Dita vuote si innalzano, un movimento del polso, e uno scintillante bisturi impugnato minacciosamente.
"Imbroglio dalle dita eccezionali," tuba una Cornacchia.
"Whoa---hey, Simon," dice Brad. "Bel trucco. Come hai fatto?"
Simon abbassa il bisturi. "E' solo un---sangue," dice, indicando la faccia di Brad.
Brad ha ancora il taglio aperto sulla fronte, il sangue ancora cola pigramente giù per il suo viso. Ora sgocciola dal mento. Toccandosi la guancia, rintraccia il sangue appiccicoso fino al taglio.
"Ow! Oh, amico. Non... Non ricordo neppure dove me lo sono fatto..."
Simon esamina gli occhi di Brad.
"No, non è scosso," proclama una Cornacchia.
"Concordo," dice un'altra.
"Concordo."
Giù per il corridoio, Jason sbatte su un muro, urlando, "Ma dove cazzo?! Perchè non riesco---perchè niente ha senso?"
Giù per il corridoio, Amy singhiozza, "Che---cosa---mi---succede--ee--ee?"
"Simon," dice Brad pigramente, confusamente, con una faccia lucida di sangue, "hai visto la mia ragazza?"
"I Lunedì," strillano i corvi. "Arrivano!"
La sbornia di assenzio prende un'altra deriva aspra mentre le decorazioni di Halloween ora sanguinano dalle varie teste. Tutte loro mormorano, facendo a Simon domande imploranti, domandano sanguinando tutte insieme.
Poi Simon lo vede ancora: qualcosa che si muove, appena al di fuori della sua visione periferica, che avanza avvicinandosi.
Un colpetto di polso e il bisturi svanisce. Entrambe le mani prendono la maglia di Brad e Simon lancia tutti e due oltre la più vicina porta di un bagno pubblico.
"I Lunedì," strillano le Cornacchie.
Simon spinge la porta chiudendola.
"Simon, ma che diavolo?" chiede Brad.
"Dovresti pulire quella ferita," dice Simon.
"Giusto..." Brad apre il rubinetto e pulisce il sangue dal suo viso. "Amico... come me lo sono fatto?"
Simon si prodiga in un lungo ed esagerato lavaggio delle mani, togliendosi il cappello e lisciando la zolla di rovi aggrovigliati che sono i suoi capelli sudati, poi raddrizzandosi la cravatta nera. Prima che se ne accorga, Brad ha finito di pulire la sua ferita.
"A dopo, Simon."
"Brad, aspetta!"
"Cosa?"
"Io..." Nessun'altra parola però esce dalla bocca di Simon.
"Amico, ma che hai?"
"La faccenda dei Lunedì," risponde Simon, sconfitto.
Brad scuote la testa ed esce. I suoi passi rimbombano giù nel corridoio. Niente li interrompe.
Colpetto di polso. Bisturi. Si tuffa in una cabina. Chiude la porta col chiavistello. Simon si poggia su un gabinetto, le gambe portate sopra il water, così da non penzolare alla vista, in quello spazio tra il pavimento e la cabina.
Ricordo, Jane, ricordo da ragazzino l'agitazione nel letto e il terrore di una gamba che pende oltre il bordo.
Nocche bianche, lama di acciaio inossidabile e silenzio. Nemmeno le Cornacchie osano fare un suono.
Passa un momento.
E un altro.
I gambi del granturco sussurrano macchinazioni di omicidi in un silenzio di questa qualità.
La porta non si è appena aperta e chiusa? Si è immaginato il suono?
Silenzio.
Le luci si spengono con un click.
Occhi spalancati, non abituati al buio. Impugna il bisturi. Trattiene il respiro. Guarda in basso. Buio. Guarda in alto. Buio---
No...
Simon crede di immaginarselo, un lampo nell'occhio della mente, un graffio sulla cornea. Ma ce ne sono due, e brillano fievoli, davvero fievoli. Due occhi.
Simon cade dal gabinetto, atterrando sul pavimento e sul suo sedere.
Il bisturi sferraglia e piomba nell'invisibile acqua del gabinetto.
Gli occhi sono ancora lì---una debole, pallida bioluminscenza blu, come quei pesci che vivono a centinaia di metri di profondità nell'oceano, zanne di vetro, simmetrie impossibili, e parti lucenti. Creature che non vedono mai il sole. Gli occhi guardano in basso nel buio, puntando oltre a dove dev'essere lo spazio aperto tra il soffitto e la cabina. Gli occhi guardano in basso, gigantescamente in basso, e Simon non può respirare sotto la pressione gioviana del loro sguardo fisso, non può distogliere la vista. La sua mano però serpeggia dentro il gabinetto in cerca del suo bisturi.
Gli occhi non hanno viso o corpo nel buio. Lentamente fluttuano dentro la cabina. Lentamente, in modo così orribilmente lento, si abbassano, giù verso Simon. La sua mano setaccia in mezzo a carta igienica bagnata e sozzura, cercando. Ma non riesce a trovarlo. Gli occhi si abbassano e Simon ancora non riesce a vedere la faccia. Solo gli occhi. I pianeti. Simon è un insetto. La sua mano si agita in mezzo all'acqua fredda, carta bagnata, e merda.
Sono distanti appena un piede eppure tutto quello che può vedere sono gli occhi.
Simon ancora non riesce a respirare, non riesce a distogliere lo sguardo; non glielo lasceranno fare. Un qualche profondo, profondo istinto selvaggio, sepolto sotto generazioni di fast food e vita facile, gli urla di scappare.
"Dimentica il cadavere di Jane Doe," dice un bagnato sussurro spacca-timpani. Vibra in tutte le cavità del corpo di Simon, come se fosse accampato di fronte agli altoparlanti in un nightclub. "Non è mai esistita---si? Io non sono mai esistito---si? Detesterai questi ricordi e questa disperazione---si? Ti nasconderai dal trauma e dimenticherai---si?"
La voce e gli occhi sono le uniche cose che esistono, finchè le Cornacchie non beccano l'albero di assenzio, per avere l'attenzione di Simon.
"Dov'è Jane?" chiede. E' l'unica domanda che riesce a udire sopra la paura.
Gli occhi scoccano di lato, perplessi---poi raddoppiano i loro sforzi. Simon boccheggia. Può sentire il disprezzo che la cosa prova per lui, come radicali liberi demoniaci che consumano le sue molecole, odio a un livello subatomico.
"Dormi," dice il sussurro. Gli occhi da basilisco si concentrano, dissolvendo tutto ciò che esaminano.
In un frangente, i suoi genitori avevano provato l'ipnoterapia per curare il suo squilibrio, ma il dottore, cedendo alla frustrazione, non era mai riuscito a far entrare Simon in una vera e propria trance.
"Dormi," dice il sussurro.
La mente ossessiva di Simon si chiude a scatto su Jane. I suoi occhi dorati sono il suo mondo.
"Dov'è lei?" chiede attraverso i denti stretti, la sua mano che scava in profondità in mezzo alle feci e alla disperazione e finalmente trova il freddo acciaio.
Gli occhi maligni divengono biechi e scattano verso la testa di Simon---
E si fermano. Guardano di lato, percependo qualcosa che Simon non ha potuto percepire. La cosa, la presenza, sibila all'intrusione. L'intero bagno di riempie di sussurri. Simon sente il suo cuore battere pericolosamente veloce, il suo corpo che si raffredda nel pre-shock, un po' di urina che gli sfugge.
Le tendine della doccia erano spalancate, aperte spalancate. Eh, Jane?
Gli occhi tornano su Simon, abbaglianti, sempre con lo sguardo fisso, fluttuano indietro verso l'alto e fuori in un orribile riavvolgimento della loro entrata.
La porta del bagno si apre e chiude.
Silenzio.
Simon lascia andare un rumoroso afflusso d'aria, come se stesse emergendo dal fondo di un oscuro lago. La sua mano schizza fuori dall'acqua fetida, non impugna Excalibur, ma il bisturi e la merda. Calcia la porta della cabina, aprendola, incespica attraverso le tenebre, fuori dalla porta del bagno, giù per i corridoi, serpeggiando e serpeggiando verso l'atrio.
Irrompe attraverso le porte uscendo fuori nella notte---un'immensa notte che sembra avvicendarsi e prendere nota di lui in modo assonnato.


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