Enjoy!
PROLOGO
Parte
sesta
Cesare era
bloccato ad ascoltare il suono ritmico della terra gettata da Padre
Adriano, che aiutandosi con una pala stava ricoprendo la semplice
bara di legno che conteneva il corpo di Alfredo.
Non
riusciva a capacitarsi di quello che era accaduto: “Pensare che
solo ieri sera, quando l’ho salutato, sembrava rinato... Era
perfino riuscito a sedersi. Non capisco Signore. Perché?”
Il corpo non
era stato mostrato a nessuno, Evaristo aveva impedito a tutti i
monaci di vederlo.
Continuava
a ripetere che il medico aveva proibito ogni contatto per evitare una
qualsiasi forma di contagio; era chiaro che dietro a questo divieto
si nascondeva anche altro: l'abate era stato vago ma si intuiva che
l’ultima fatale crisi di spasmi aveva straziato il corpo già
duramente provato, rendendolo un macabro spettacolo.
Evaristo
non aveva fatto segreto della rabbia del
medico, che la notte stessa in cui si era recato d'urgenza all’eremo
non potendo far altro che constatare la morte di Alfredo, lo aveva
lasciato altrettanto in fretta urlando e maledicendo i suoi abitanti
per la loro cocciutaggine e inettitudine.
Quante
volte durante le sue
precedenti visite Cesare avrebbe voluto parlargli, ma i giorni erano
trascorsi uno dopo l’altro senza che avesse avuto modo di
incontrarlo, mentre Alfredo sembrava migliorare a vista d’occhio
gli orari di visita del medico erano passati in secondo piano
rispetto allo svolgimento delle sue mansioni in biblioteca, dove si
era spesso trovato bloccato per intere giornate.
La
messa funebre finì, così come era iniziata, nel silenzio più
totale. I monaci si allontanarono uno dopo l’altro dal cimitero e
dall'enorme altare sul quale Evaristo aveva dato l'ultimo saluto al
giovane Alfredo, nella commozione generale.
Il
cielo era ricoperto da uno spesso strato di nubi grigiastre, nemmeno
un raggio di sole riusciva ad attraversarne la coltre, riflettendo
come in uno specchio l’umore di Cesare mentre tornava nella
biblioteca assieme ad Adriano. Anch’egli appariva evidentemente
scosso dalla morte improvvisa del fratello,per il quale in seguito
agli ultimi miglioramenti aveva cominciato a nutrire ottime speranza
di ripresa, e il tragico epilogo lo aveva chiuso in un silenzio
meditabondo ben lontano dalla sua abituale personalità spumeggiante.
“Ho
deciso”.
Era un'idea
che lo aveva accompagnato per tutto il corso del rito funebre, così
si voltò verso Adriano e sentenziò: «Io vado da Evaristo. Devo
chiedergli una cosa molto importante, ti abbandono per qualche
minuto, Adriano. Ci vediamo dopo in biblioteca.»
Non
attese la risposta del monaco e si diresse immediatamente a passo
svelto verso la chiesa, dove l'abate stava riponendo gli oggetti
sacri usati per il funerale svoltosi all'esterno.
Quando
varcò la soglia trovò Evaristo intento a ripiegare con cura la
tovaglia che aveva ricoperto l’altare durante la funzione.
«Cesare.
Sei venuto a pregare per Alfredo? Per oggi non preoccuparti della
biblioteca,
capisco quanto tu possa essere scosso, per cui se vuoi rimanere qui
non c'è nessun problema. Dirò ad Adriano di continuare da solo, per
oggi.»
Cesare lo
fissò: il volto di Evaristo era provato, probabilmente a causa della
stanchezza accumulata nelle molte ore di sonno perdute nella nottata.
«Grazie, ma
sono qui per formulare una richiesta, forse egoistica, ma sento che
era ciò che Alfredo avrebbe voluto.»
«Chiedi,
dunque.»
«Vorrei
prendere in custodia il piccolo orto che era gestito da Alfredo. Da
quello che mi raccontava è stato lasciato abbandonato da quando lui
si è ammalato, e nessuno è mai stato più assegnato come ortolano.
Potrei gestire io quelle faccende da ora in poi: vorrei farlo proprio
in memoria di Alfredo, credo che lui avrebbe apprezzato sicuramente
questo gesto».
Evaristo
per un attimo evitò gli occhi di Cesare, come se non potesse
sostenere il suo sguardo.
Dopo poco
alzò gli occhi, fissandolo con un'espressione indecifrabile.
«E sia. Pare
che tu abbia finalmente trovato un posto qui nell'eremo, e credo che
- » sorrise «- Alfredo ne sarebbe stato felice».
E fu
cosi che Cesare, novello ortolano,
si ritrovò di nuovo in biblioteca, stavolta però alla ricerca dei
registri degli orti, in cui Alfredo annotava spezie e sementi da
acquistare.
Dovette
chiedere aiuto ad Adriano perché quei registri non si trovavano da
nessuna parte, dovendosi arrendere infine all'evidenza: nella
biblioteca non c’era nulla del genere.
Li
trovarono infatti sotto al letto della cella di Alfredo, sepolti da
uno spesso strato di polvere. Il che di per se era già un chiaro
segnale di quanto, da quando Alfredo si era ammalato, l'orto
dell'eremo fosse stato gestito male.
I
monaci si occupavano a rotazione di mantenerlo in un minimo stato
produttivo, ma nessuno aveva comprato sementi né aveva provveduto a
curarlo pienamente. Per
lo più i frutti della terra che venivano raccolti servivano per
sfamare l'eremo, ma la coltivazione e il commercio delle spezie si
erano arrestati completamente da moltissimo tempo.
“Prima
riuscirò ad andare a comprare il necessario e prima tutto quanto
potrà ripartire” pensò Cesare. Decise quindi di mettersi in
marcia immediatamente, recatosi dall'abate per chiedere il permesso,
si diresse poi per la prima volta dopo tanto tempo verso Nibizzola.
Arrivò
nel primo pomeriggio.
Il
paese era immerso sotto una coltre di
pesanti nuvole che promettevano pioggia imminente, e Cesare iniziò
ad affrettarsi nella ricerca di uno speziale.
Dopo aver
chiesto ad un passante trovò finalmente il piccolo negozio in cui
Alfredo andava abitualmente a rifornirsi.
Quando
si chiuse la porta alle spalle, le prime gocce stavano iniziando a
cadere, e Cesare già poté figurarsi un viaggio di ritorno molto
meno piacevole.
All'interno,
miriadi di piccoli cassetti adornavano ogni parete, rimase per un po'
ad osservarli mentre attendeva che il cliente prima di lui finisse i
suoi acquisti. Quando si soffermò ad osservarlo però rimase
impietrito dalla sorpresa. L'unico cliente del negozio si rivelò
essere il medico che tanto si era dato pena per salvare Alfredo.
Cesare
non sapeva cosa dire. Quando il medico si girò per uscire alzò lo
sguardo su di lui, e Cesare per un istante attese che avesse inizio
una qualche invettiva, atta a rincarare la rabbia per non aver potuto
salvare il giovane monaco, invece questo sorrise.
«Oh, avete
finalmente ripreso il commercio di spezie vedo. Beh, mi aspettavo di
vedere Alfredo in effetti, ma immagino che debba ancora riprendersi
completamente eh?»
Cesare
pensò che la presa in
giro fosse davvero troppo crudele anche per lui, e stava per
rispondere a tono quando il medico continuò: «Come sta il povero
ragazzo? E' da un po' che non vengo chiamato all'eremo, per cui
presumo stia meglio, giusto?»
Al
perdurare del tono gioviale del medico,
rimase come imbambolato, incapace di comprendere se davvero lo stesse
prendendo in giro o meno. Le sue parole suonavano così spontanee da
spiazzare completamente ogni suo tentativo di reazione violenta: «Non
capisco, mi sta dicendo che lei non è al corrente della morte di
Alfredo?»
Il
medico sgranò gli occhi, improvvisamente pallido come se Cesare,
invece che aprir bocca, gli avesse appena tirato un pugno allo
stomaco.
«Che
cosa diavolo sta dicendo? Perché non mi avete chiamato se stava
peggiorando?! Vi ha dato di volta il cervello?!» esclamò poi
sconvolto.
Cesare
era scioccato quanto lui,
incapace di comprendere cosa fosse successo realmente.
«A me
hanno detto che il medico continuava le visite regolarmente, anche
negli ultimi giorni in cui stava effettivamente migliorando, forse si
sono rivolti ad un altro dottore…»
Il medico
fece una sonora risata di scherno.
«Ah! E a chi
si sarebbero dovuti rivolgere, visto che sono io l'unico in grado di
esercitare la professione in tutta Nibizzola?».
Cesare
cercò di articolare qualche parola, mentre il dottore usciva in
preda alla rabbia.
«Io
non capisco, mi hanno detto che - » ma non riuscì a completare la
frase, perché il medico uscì sbattendosi dietro la porta e
sbraitando «Pazzi! Completamente andati! Bah!»
Cesare
e il negoziante rimasero a fissare l'uscio per qualche istante, poi
si riebbero, quasi nello stesso momento i loro sguardi un po’
straniti si incrociarono e lo speziale azzardò «...Desidera?»
Cesare
gli passò l'elenco che si era annotato dai registri. Questi gli
preparò tutto, chiaramente affrettandosi per trattenerlo lì per il
minor tempo possibile, segno che era rimasto anche lui molto scosso
dall'episodio. Il monaco pagò in fretta ed uscì sotto la pioggia
battente, incamminandosi a passo spedito verso l'eremo.
“Cosa
sta succedendo? Il medico afferma di non avere più visto Alfredo
quando l'abate ha assicurato a tutti i fratelli che era stato
visitato regolarmente ogni giorno. Però, ora che ci penso, Alfredo
non aveva più menzionato il dottore le ultime volte in cui abbiamo
parlato. Ma che motivo avrebbe Evaristo per mentire a tutti quanti?
Non ha nessun senso…” un tuono violentissimo lo fece trasalire.
Si rese conto di essere ormai fradicio, così proseguì quasi
correndo verso l'eremo con l'intenzione di arrivare il prima
possibile all'asciutto.
Bagnato. Era
un odore che faceva tornare ricordi, cose che dovevano restare
nascoste.
“Perché
deve tornare a tormentarmi proprio ora?”
I suoi
capelli dai riflessi dorati. L'odore di donna che emanavano, appena
bagnati dal tocco della pioggia.
“No.”
Tagliò fuori
quella parte di sé, e quando aprì la porta dell'eremo l'unico
pensiero che aveva era quello di trovare un riparo dalla pioggia
battente.
Non aveva
molto senso dedicarsi all'orto col maltempo che regnava sovrano
all'esterno, così Cesare decise di restare nella sua cella a
meditare e pregare.
Non
poteva proprio togliersi dalla mente la scenata del medico dallo
speziale: “Voglio
vederci chiaro. Anche se non ha molto senso ormai visto che non
possiamo far tornare Alfredo, voglio capire chi è questo fantomatico
dottore che è venuto a visitarlo nell'ultimo periodo” si decise.
Scese nella
sala comune e iniziò a chiedere a tutti i fratelli che incontrava se
qualcuno di loro avesse mai incontrato il medico nell'ultimo periodo
di vita di Alfredo.
Le risposte
che ebbe erano sempre le stesse: ognuno era troppo occupato nelle
proprie mansioni per accorgersi del medico, e nessuno effettivamente
poteva dire di averlo incontrato.
«Cesare,
quello che aveva più possibilità di incontrarlo eri proprio tu, eri
l'unico ad avere accesso alla stanza di Alfredo oltre ad Evaristo.
Non hai mai visto il dottore negli orari in cui gli facevi visita?»
Durante lo
osservava con sguardo stupito.
«No, quando
ero con lui l'orario di visita del medico era già passato da tempo.»
«Non c'è
mai stato un orario fisso di visita, Cesare, il medico passava quando
poteva, non vivendo nell'eremo. Ogni giorno veniva in orari diversi,
ovviamente mai troppo distaccati fra loro, ma non c'era un'ora
prestabilita per le visite. E' sempre stato così. Chi ti ha
raccontato il contrario?»
«E' stato
Evaristo. Mi ha sempre assicurato che Alfredo veniva costantemente
controllato ogni giorno. Anche stamattina ha raccontato che il medico
aveva abbandonato l'eremo in preda alla collera dopo la morte di
Alfredo.»
«Questo
è vero,
ha detto così.
Ma perché ti è venuto questo dubbio? Ormai Alfredo è sepolto, così
non rischi di infangare la sua memoria con storie di sospetti
inutili?»
“Meglio
non coinvolgere altra gente in questa storia, sopratutto se alla fine
si rivelasse essere un'altra mia paranoia” si ritrovò a pensare
Cesare, cosi si giustificò: «Già, forse la sua morte mi ha
talmente sconvolto che voglio trovare qualcuno a cui dare la colpa.»
Durante
sorrise, gli occhi azzurri che scintillavano come due zaffiri: «Un
comportamento normale, Cesare. Vedrai che col tempo riuscirai ad
accettare anche questo.»
Cesare si
congedò dando l'intenzione di ritirarsi nella sua cella. In realtà
pochi minuti dopo era davanti alla porta della stanza dell'abate.
“Solo
questo, chiederò solo questa cosa, ma lo devo sapere. Voglio sapere
se qualcuno ha allontanato il medico volutamente. E se questo
qualcuno è l'uomo dentro questa camera, e il motivo per cui l'ha
fatto.”
Bussò.
Attraverso la pesante porta in legno giunse la voce dell’abate:
«Avanti.».
Evaristo
stava seduto dietro il suo scranno mentre finiva di scrivere alcune
carte.
Quando alzò
lo sguardo e vide Cesare, chiese: «Ah, sei tornato vedo. Sei
riuscito a comprare tutto quello che ti serviva?»
«Si, sono
riuscito ad arrivare in città poco prima che iniziasse a piovere.»
«Bene,
quindi perché sei qui? Hai bisogno di qualcos'altro? Come vedi devo
finire di compilare questi documenti, quindi non ho molto tempo,
Cesare.»
“Devo
stare attento a quello che dico” pensò immediatamente.
«Vede
abate, oggi dallo speziale ho incontrato il medico.» A Cesare parve
di vedere il volto di Evaristo incupirsi. L'abate poggiò la penna
d'oca.
«Capisco,
spero non ti abbia aggredito verbalmente come ha fatto stanotte con
me.»
«Ecco, in
effetti non mi ha aggredito, anzi mi ha chiesto lo stato di salute di
Alfredo.»
La voce
di Evaristo tremò mentre rispondeva: «Che cosa vorresti dire? Che
il medico si è dimenticato che un suo paziente è deceduto?»
“Ci
siamo” pensò “devo insistere” e proseguì: «Beh, ecco, a me è
parso sincero mentre raccontava che non si presentava all'eremo da
giorni. Si è infuriato quando gli ho detto della morte di Alfredo.»
L'abate alzò
la voce: «Questo è impossibile, il medico era qui stanotte con me a
visitare il corpo del tuo povero fratello. Non è possibile che abbia
affermato una cosa del genere.»
«E' proprio
quello che ha detto invece. Lo giuro, abate.»
Cesare vide
il viso di Evaristo che mutava in una maschera di rabbia mentre
comprendeva infine che aveva messo in dubbio le sue parole.
«Non
ti permettere di insinuare che sto mentendo Cesare! Io voglio il bene
di tutti voi, per quale motivo avrei dovuto allontanare il medico e
poi mentirvi?! Mentire è un peccato gravissimo, farlo verso i miei
fratelli lo renderebbe ancora più grave! Come puoi anche solo
pensare che io abbia commesso qualcosa del genere!?»
Cesare
esplose senza rendersene conto: «Lo penso per lo stesso motivo per
cui non mi avete dato ascolto nemmeno quando ho scoperto che quella
malattia torna ogni tre lustri! Perché non mi avete dato ascolto?
Avremmo potuto salvarlo! So che Alfredo chiedeva in continuazione di
allontanare il medico, ma perché dargli retta proprio alla fine,
quando sembrava che le cure iniziassero a fare effetto? Lo avete
abbandonato al suo destino! Io-»
«Basta
così.» La voce di Evaristo tradiva una rabbia esplosiva trattenuta
a stento.
Cesare
si rese conto di avere esagerato, ma non riusciva a togliersi dalla
testa lo sguardo colpevole dell'abate: “Tu nascondi qualcosa. Ma
perché?”
«Le
chiedo scusa abate, sono ancora sconvolto da tutto e ho-» tentò di
giustificarsi, ora sapeva che non avrebbe ottenuto più nulla da
quella conversazione e si pentì di averla portata cosi oltre.
L’abate gli si rivolse con fermezza, la voce dura: «Fuori. Esci da
qui».
E
Cesare uscì, in
silenzio. Un silenzio carico di disagio.
“Sto forse
impazzendo?”
Non
riusciva a darsi pace.
“Perché mentire a tutto l'eremo? Non ha senso! Eppure il medico
era davvero convinto di quello che diceva. O forse l'ho solo
immaginato? No, lo speziale ha visto e ascoltato benissimo quello che
ha detto, in quel negozio non ero solo”.
Solo. Era
ritornato ad essere un'entità unica da quando si era costretto ad
abbandonarla.
Tutti i
momenti passati insieme a lei gli avevano fatto credere che la sua
vita stava davvero riprendendo quota. Quel pensiero era così dolce e
amaro allo stesso tempo.
“Perché mi
ritorni in mente sempre più spesso in questi giorni? Non posso
pensare a questo, non ora, quando tutto sembra che stia crollando
un'altra volta. Rischio di impazzire sul serio...”
Era
nella sua cella, le preghiere serali erano appena terminate e Cesare
aveva cercato di tornare il più rapidamente possibile nel suo
alloggio per evitare qualsiasi ragione di contatto diretto con
Evaristo.
Sapeva che
prima o poi si sarebbero riappacificati ma era ancora scosso dai
dubbi per una cosa che nemmeno lui comprendeva appieno.
Quando fu
notte la pioggia era terminata da poco tempo: il giardino dell'eremo
era avvolto in una leggera foschia, e l'aria, carica di umidità,
profumava di erba bagnata.
Cesare
fece molta fatica a scivolare nel sonno, e quando alla fine ci riuscì
la mente ancora macinava pensieri che ruotavano tutti intorno alla
strana morte di Alfredo.
Stava
fissando il giardino, era spettrale in quell'atmosfera. Una strana
tensione si era impadronita di lui, e non riusciva a staccare lo
sguardo dal punto dove si ergeva l'altare del cimitero.
Era una
tensione carica di attesa. Non sapeva cosa aspettava, ma stava per
arrivare.
“Ecco”.
Vide due
individui che si avvicinavano. Erano emersi dall'ombra del cimitero,
e si tenevano per mano.
Quando li
vide, ebbe un tuffo al cuore: erano Alfredo ed Eleonora.
Il loro
sguardo era sereno, e Cesare rimase sconvolto.
Si stavano
avvicinando alla tomba di Alfredo, la stessa tomba che avevano chiuso
quella mattinata.
Quando
vi furono di fronte, si girarono, fissando proprio nella sua
direzione.
Una
luce innaturale lo investì: voleva gettarsi all'indietro per
ripararsi, ma non ci riusciva. Era come ipnotizzato da quei volti. I
loro occhi erano fiamme nella notte, e alla fine parlarono insieme,
le voci divenute una sola: «Vieni a me Cesare, tu devi sapere. Vieni
nel luogo dove mi hanno abbandonato, tu sai quello che devi fare.
Vieni a me Cesare!»
I volti
vennero deformati dal fuoco, e fu solo luce.
«Alfredo!»
aveva urlato, e il suo stesso grido lo aveva ricondotto alla realtà.
Era di nuovo
nella sua cella, a letto però.
Si alzò
di scatto, liberandosi con violenza dal
lenzuolo che usava per coprirsi. Restò diversi secondi in piedi, nel
silenzio della notte che regnava nell'eremo.
“Che
diamine mi succede?” si sentiva febbricitante, le mani gli
tremavano, e non riusciva a calmarsi.
“Devo
andare, lui mi ha chiamato, e anche Eleonora vuole la stessa cosa...
Devo andare subito! Loro mi stanno aspettando...”
Sapeva cosa
doveva fare. Il dubbio che doveva fugare era l'unica ragione di
esistenza che trovava in quel momento.
Si rivestì
in fretta e una volta pronto aprì la porta della sua cella e si
incamminò silenziosamente nel corridoio. Nessuno doveva vederlo.
Nessuno doveva sentirlo.
Si diresse
immediatamente verso il piccolo deposito degli attrezzi agricoli che
tenevano al piano terra. Dentro vi trovò quello che cercava: un
badile.
Lo prese e
sempre con passo silenzioso si avviò nel corridoio per uscire
all'esterno.
All'improvviso
udì dei passi provenire dalla sala comune diretti verso di lui.
“Dannazione!”
preso dall'impeto del momento si nascose in una delle piccole alcove
che si trovavano ai lati del corridoio, poggiando il badile li vicino
e trattenendo il respiro.
I passi
si stavano avvicinando, Cesare era convinto che sarebbero bastati i
battiti convulsi del suo cuore a tradire la sua presenza.
SBAM!
Il rumore lo
lasciò di sasso. Il badile era caduto fragorosamente a terra, e ora
era disteso parallelo alla linea del muro, immerso nell'ombra. I
passi si avvicinavano sempre di più.
“Che
cosa ho fatto? Mi troverà ora...” trattenne il fiato.
Padre Germano
gli passò davanti senza dare l'idea che avesse notato nulla di
strano, e si diresse verso le scale del primo piano.
Cesare
stava quasi per ringraziare la sordità del suo anziano fratello,
mentre finalmente tirava il fiato.
Raccolse
il badile e uscì, inoltrandosi
nell'umida foschia che aleggiava nel cimitero.
“Loro
non devono vedere... Loro non possono sapere... Ma io devo capire,
devo conoscere la verità!” continuava a ripeterselo come una
preghiera.
La sua
paranoia gli stava facendo raggiungere nuove vette di follia.
Mentre
camminava verso la tomba di Alfredo si sentiva perennemente
osservato, da tutti i lati. La sua testa guizzava a destra e sinistra
in
continuazione,
con scatti repentini più appropriati ad un rettile che ad un essere
umano. I suoi occhi però non colsero nessuna presenza. Se qualcuno
lo avesse visto, avrebbe probabilmente stentato a riconoscerlo, lo
sguardo reso folle dalla pazzia.
Arrivò alla
tomba di Alfredo.
“Devo
farlo... Per Eleonora e per te Alfredo, che tu possa perdonarmi per
turbare il tuo riposo, ma se ho ragione non turberò un bel niente.
Stanotte farò remissione dei miei peccati. Guardami Eleonora,
guardami!”
Prese
il badile e iniziò a scavare nella terra ancora umida, le sue
braccia tese nello sforzo di smuovere il terreno, mentre un pensiero
fisso gli invadeva la mente.
L'aveva presa
nel confessionale come una bestia. Aveva strappato i suoi abiti e
aveva assaporato quella carne così giovane con tutto il suo corpo.
Ora ogni colpo di badile gli ricordava quegli attimi, quando era
stato completamente posseduto dal ritmo diabolico della danza del
peccato.
“Le
sensazioni del peccato sono sempre le stesse... Perdonami Signore...
Perdonami!”
Un colpo, un
altro colpo ancora. Ogni volta la rivedeva: il suo viso leggermente
lentigginoso, i suoi occhi verdi, quei capelli così fradici da
sembrare oro colato, i piccoli seni che ondeggiavano ritmicamente.
Alla fine
aveva urlato, e così fece Cesare in preda al delirio quando
finalmente trovò la bara.
Inserì la
cima del badile nella fessura del feretro e con tutta la sua forza
fece leva sollevando il coperchio, sigillato solo da qualche chiodo.
Quando vide
quello che vi era all'interno lasciò cadere lo strumento per terra.
Sassi, la
cassa era piena di pietre.
Cesare
era combattuto tra la disperazione per l'amico scomparso e la gioia
per aver confermato i suoi sospetti.
In
preda alla confusione, fu allora che sentì come un formicolio dietro
la nuca.
Una voce alle
sue spalle lo fece trasalire.
«Buonasera,
Cesare.»
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