venerdì 6 luglio 2012

Sesta parte del racconto "La stella"

Finalmente ce l'abbiamo fatta! Ci scusiamo per l'enorme tempo che è passato dalla scorsa parte ma gli esami incombevano e incombono ancora. I ringraziamenti vanno come al solito a Sara per il suo lavoro di editing.


Enjoy!




PROLOGO

Parte sesta

Cesare era bloccato ad ascoltare il suono ritmico della terra gettata da Padre Adriano, che aiutandosi con una pala stava ricoprendo la semplice bara di legno che conteneva il corpo di Alfredo.
Non riusciva a capacitarsi di quello che era accaduto: “Pensare che solo ieri sera, quando l’ho salutato, sembrava rinato... Era perfino riuscito a sedersi. Non capisco Signore. Perché?”
Il corpo non era stato mostrato a nessuno, Evaristo aveva impedito a tutti i monaci di vederlo.
Continuava a ripetere che il medico aveva proibito ogni contatto per evitare una qualsiasi forma di contagio; era chiaro che dietro a questo divieto si nascondeva anche altro: l'abate era stato vago ma si intuiva che l’ultima fatale crisi di spasmi aveva straziato il corpo già duramente provato, rendendolo un macabro spettacolo.
Evaristo non aveva fatto segreto della rabbia del medico, che la notte stessa in cui si era recato d'urgenza all’eremo non potendo far altro che constatare la morte di Alfredo, lo aveva lasciato altrettanto in fretta urlando e maledicendo i suoi abitanti per la loro cocciutaggine e inettitudine.
Quante volte durante le sue precedenti visite Cesare avrebbe voluto parlargli, ma i giorni erano trascorsi uno dopo l’altro senza che avesse avuto modo di incontrarlo, mentre Alfredo sembrava migliorare a vista d’occhio gli orari di visita del medico erano passati in secondo piano rispetto allo svolgimento delle sue mansioni in biblioteca, dove si era spesso trovato bloccato per intere giornate.
La messa funebre finì, così come era iniziata, nel silenzio più totale. I monaci si allontanarono uno dopo l’altro dal cimitero e dall'enorme altare sul quale Evaristo aveva dato l'ultimo saluto al giovane Alfredo, nella commozione generale.
Il cielo era ricoperto da uno spesso strato di nubi grigiastre, nemmeno un raggio di sole riusciva ad attraversarne la coltre, riflettendo come in uno specchio l’umore di Cesare mentre tornava nella biblioteca assieme ad Adriano. Anch’egli appariva evidentemente scosso dalla morte improvvisa del fratello,per il quale in seguito agli ultimi miglioramenti aveva cominciato a nutrire ottime speranza di ripresa, e il tragico epilogo lo aveva chiuso in un silenzio meditabondo ben lontano dalla sua abituale personalità spumeggiante.
Ho deciso”.
Era un'idea che lo aveva accompagnato per tutto il corso del rito funebre, così si voltò verso Adriano e sentenziò: «Io vado da Evaristo. Devo chiedergli una cosa molto importante, ti abbandono per qualche minuto, Adriano. Ci vediamo dopo in biblioteca.»
Non attese la risposta del monaco e si diresse immediatamente a passo svelto verso la chiesa, dove l'abate stava riponendo gli oggetti sacri usati per il funerale svoltosi all'esterno.
Quando varcò la soglia trovò Evaristo intento a ripiegare con cura la tovaglia che aveva ricoperto l’altare durante la funzione.
«Cesare. Sei venuto a pregare per Alfredo? Per oggi non preoccuparti della biblioteca, capisco quanto tu possa essere scosso, per cui se vuoi rimanere qui non c'è nessun problema. Dirò ad Adriano di continuare da solo, per oggi.»
Cesare lo fissò: il volto di Evaristo era provato, probabilmente a causa della stanchezza accumulata nelle molte ore di sonno perdute nella nottata.
«Grazie, ma sono qui per formulare una richiesta, forse egoistica, ma sento che era ciò che Alfredo avrebbe voluto.»
«Chiedi, dunque.»
«Vorrei prendere in custodia il piccolo orto che era gestito da Alfredo. Da quello che mi raccontava è stato lasciato abbandonato da quando lui si è ammalato, e nessuno è mai stato più assegnato come ortolano. Potrei gestire io quelle faccende da ora in poi: vorrei farlo proprio in memoria di Alfredo, credo che lui avrebbe apprezzato sicuramente questo gesto».
Evaristo per un attimo evitò gli occhi di Cesare, come se non potesse sostenere il suo sguardo.
Dopo poco alzò gli occhi, fissandolo con un'espressione indecifrabile.
«E sia. Pare che tu abbia finalmente trovato un posto qui nell'eremo, e credo che - » sorrise «- Alfredo ne sarebbe stato felice».

E fu cosi che Cesare, novello ortolano, si ritrovò di nuovo in biblioteca, stavolta però alla ricerca dei registri degli orti, in cui Alfredo annotava spezie e sementi da acquistare.
Dovette chiedere aiuto ad Adriano perché quei registri non si trovavano da nessuna parte, dovendosi arrendere infine all'evidenza: nella biblioteca non c’era nulla del genere.
Li trovarono infatti sotto al letto della cella di Alfredo, sepolti da uno spesso strato di polvere. Il che di per se era già un chiaro segnale di quanto, da quando Alfredo si era ammalato, l'orto dell'eremo fosse stato gestito male.
I monaci si occupavano a rotazione di mantenerlo in un minimo stato produttivo, ma nessuno aveva comprato sementi né aveva provveduto a curarlo pienamente. Per lo più i frutti della terra che venivano raccolti servivano per sfamare l'eremo, ma la coltivazione e il commercio delle spezie si erano arrestati completamente da moltissimo tempo.
Prima riuscirò ad andare a comprare il necessario e prima tutto quanto potrà ripartire” pensò Cesare. Decise quindi di mettersi in marcia immediatamente, recatosi dall'abate per chiedere il permesso, si diresse poi per la prima volta dopo tanto tempo verso Nibizzola.

Arrivò nel primo pomeriggio.
Il paese era immerso sotto una coltre di pesanti nuvole che promettevano pioggia imminente, e Cesare iniziò ad affrettarsi nella ricerca di uno speziale.
Dopo aver chiesto ad un passante trovò finalmente il piccolo negozio in cui Alfredo andava abitualmente a rifornirsi.
Quando si chiuse la porta alle spalle, le prime gocce stavano iniziando a cadere, e Cesare già poté figurarsi un viaggio di ritorno molto meno piacevole.
All'interno, miriadi di piccoli cassetti adornavano ogni parete, rimase per un po' ad osservarli mentre attendeva che il cliente prima di lui finisse i suoi acquisti. Quando si soffermò ad osservarlo però rimase impietrito dalla sorpresa. L'unico cliente del negozio si rivelò essere il medico che tanto si era dato pena per salvare Alfredo.
Cesare non sapeva cosa dire. Quando il medico si girò per uscire alzò lo sguardo su di lui, e Cesare per un istante attese che avesse inizio una qualche invettiva, atta a rincarare la rabbia per non aver potuto salvare il giovane monaco, invece questo sorrise.
«Oh, avete finalmente ripreso il commercio di spezie vedo. Beh, mi aspettavo di vedere Alfredo in effetti, ma immagino che debba ancora riprendersi completamente eh?»
Cesare pensò che la presa in giro fosse davvero troppo crudele anche per lui, e stava per rispondere a tono quando il medico continuò: «Come sta il povero ragazzo? E' da un po' che non vengo chiamato all'eremo, per cui presumo stia meglio, giusto?»
Al perdurare del tono gioviale del medico, rimase come imbambolato, incapace di comprendere se davvero lo stesse prendendo in giro o meno. Le sue parole suonavano così spontanee da spiazzare completamente ogni suo tentativo di reazione violenta: «Non capisco, mi sta dicendo che lei non è al corrente della morte di Alfredo?»
Il medico sgranò gli occhi, improvvisamente pallido come se Cesare, invece che aprir bocca, gli avesse appena tirato un pugno allo stomaco.
«Che cosa diavolo sta dicendo? Perché non mi avete chiamato se stava peggiorando?! Vi ha dato di volta il cervello?!» esclamò poi sconvolto.
Cesare era scioccato quanto lui, incapace di comprendere cosa fosse successo realmente.
«A me hanno detto che il medico continuava le visite regolarmente, anche negli ultimi giorni in cui stava effettivamente migliorando, forse si sono rivolti ad un altro dottore…»
Il medico fece una sonora risata di scherno.
«Ah! E a chi si sarebbero dovuti rivolgere, visto che sono io l'unico in grado di esercitare la professione in tutta Nibizzola?».
Cesare cercò di articolare qualche parola, mentre il dottore usciva in preda alla rabbia.
«Io non capisco, mi hanno detto che - » ma non riuscì a completare la frase, perché il medico uscì sbattendosi dietro la porta e sbraitando «Pazzi! Completamente andati! Bah!»
Cesare e il negoziante rimasero a fissare l'uscio per qualche istante, poi si riebbero, quasi nello stesso momento i loro sguardi un po’ straniti si incrociarono e lo speziale azzardò «...Desidera?»
Cesare gli passò l'elenco che si era annotato dai registri. Questi gli preparò tutto, chiaramente affrettandosi per trattenerlo lì per il minor tempo possibile, segno che era rimasto anche lui molto scosso dall'episodio. Il monaco pagò in fretta ed uscì sotto la pioggia battente, incamminandosi a passo spedito verso l'eremo.
Cosa sta succedendo? Il medico afferma di non avere più visto Alfredo quando l'abate ha assicurato a tutti i fratelli che era stato visitato regolarmente ogni giorno. Però, ora che ci penso, Alfredo non aveva più menzionato il dottore le ultime volte in cui abbiamo parlato. Ma che motivo avrebbe Evaristo per mentire a tutti quanti? Non ha nessun senso…” un tuono violentissimo lo fece trasalire. Si rese conto di essere ormai fradicio, così proseguì quasi correndo verso l'eremo con l'intenzione di arrivare il prima possibile all'asciutto.
Bagnato. Era un odore che faceva tornare ricordi, cose che dovevano restare nascoste.
Perché deve tornare a tormentarmi proprio ora?”
I suoi capelli dai riflessi dorati. L'odore di donna che emanavano, appena bagnati dal tocco della pioggia.
No.”
Tagliò fuori quella parte di sé, e quando aprì la porta dell'eremo l'unico pensiero che aveva era quello di trovare un riparo dalla pioggia battente.

Non aveva molto senso dedicarsi all'orto col maltempo che regnava sovrano all'esterno, così Cesare decise di restare nella sua cella a meditare e pregare.
Non poteva proprio togliersi dalla mente la scenata del medico dallo speziale: “Voglio vederci chiaro. Anche se non ha molto senso ormai visto che non possiamo far tornare Alfredo, voglio capire chi è questo fantomatico dottore che è venuto a visitarlo nell'ultimo periodo” si decise.
Scese nella sala comune e iniziò a chiedere a tutti i fratelli che incontrava se qualcuno di loro avesse mai incontrato il medico nell'ultimo periodo di vita di Alfredo.
Le risposte che ebbe erano sempre le stesse: ognuno era troppo occupato nelle proprie mansioni per accorgersi del medico, e nessuno effettivamente poteva dire di averlo incontrato.
«Cesare, quello che aveva più possibilità di incontrarlo eri proprio tu, eri l'unico ad avere accesso alla stanza di Alfredo oltre ad Evaristo. Non hai mai visto il dottore negli orari in cui gli facevi visita?»
Durante lo osservava con sguardo stupito.
«No, quando ero con lui l'orario di visita del medico era già passato da tempo.»
«Non c'è mai stato un orario fisso di visita, Cesare, il medico passava quando poteva, non vivendo nell'eremo. Ogni giorno veniva in orari diversi, ovviamente mai troppo distaccati fra loro, ma non c'era un'ora prestabilita per le visite. E' sempre stato così. Chi ti ha raccontato il contrario?»
«E' stato Evaristo. Mi ha sempre assicurato che Alfredo veniva costantemente controllato ogni giorno. Anche stamattina ha raccontato che il medico aveva abbandonato l'eremo in preda alla collera dopo la morte di Alfredo.»
«Questo è vero, ha detto così. Ma perché ti è venuto questo dubbio? Ormai Alfredo è sepolto, così non rischi di infangare la sua memoria con storie di sospetti inutili?»
Meglio non coinvolgere altra gente in questa storia, sopratutto se alla fine si rivelasse essere un'altra mia paranoia” si ritrovò a pensare Cesare, cosi si giustificò: «Già, forse la sua morte mi ha talmente sconvolto che voglio trovare qualcuno a cui dare la colpa.»
Durante sorrise, gli occhi azzurri che scintillavano come due zaffiri: «Un comportamento normale, Cesare. Vedrai che col tempo riuscirai ad accettare anche questo.»
Cesare si congedò dando l'intenzione di ritirarsi nella sua cella. In realtà pochi minuti dopo era davanti alla porta della stanza dell'abate.
Solo questo, chiederò solo questa cosa, ma lo devo sapere. Voglio sapere se qualcuno ha allontanato il medico volutamente. E se questo qualcuno è l'uomo dentro questa camera, e il motivo per cui l'ha fatto.”
Bussò. Attraverso la pesante porta in legno giunse la voce dell’abate: «Avanti.».
Evaristo stava seduto dietro il suo scranno mentre finiva di scrivere alcune carte.
Quando alzò lo sguardo e vide Cesare, chiese: «Ah, sei tornato vedo. Sei riuscito a comprare tutto quello che ti serviva?»
«Si, sono riuscito ad arrivare in città poco prima che iniziasse a piovere.»
«Bene, quindi perché sei qui? Hai bisogno di qualcos'altro? Come vedi devo finire di compilare questi documenti, quindi non ho molto tempo, Cesare.»
Devo stare attento a quello che dico” pensò immediatamente.
«Vede abate, oggi dallo speziale ho incontrato il medico.» A Cesare parve di vedere il volto di Evaristo incupirsi. L'abate poggiò la penna d'oca.
«Capisco, spero non ti abbia aggredito verbalmente come ha fatto stanotte con me.»
«Ecco, in effetti non mi ha aggredito, anzi mi ha chiesto lo stato di salute di Alfredo.»
La voce di Evaristo tremò mentre rispondeva: «Che cosa vorresti dire? Che il medico si è dimenticato che un suo paziente è deceduto?»
Ci siamo” pensò “devo insistere” e proseguì: «Beh, ecco, a me è parso sincero mentre raccontava che non si presentava all'eremo da giorni. Si è infuriato quando gli ho detto della morte di Alfredo.»
L'abate alzò la voce: «Questo è impossibile, il medico era qui stanotte con me a visitare il corpo del tuo povero fratello. Non è possibile che abbia affermato una cosa del genere.»
«E' proprio quello che ha detto invece. Lo giuro, abate.»
Cesare vide il viso di Evaristo che mutava in una maschera di rabbia mentre comprendeva infine che aveva messo in dubbio le sue parole.
«Non ti permettere di insinuare che sto mentendo Cesare! Io voglio il bene di tutti voi, per quale motivo avrei dovuto allontanare il medico e poi mentirvi?! Mentire è un peccato gravissimo, farlo verso i miei fratelli lo renderebbe ancora più grave! Come puoi anche solo pensare che io abbia commesso qualcosa del genere!?»
Cesare esplose senza rendersene conto: «Lo penso per lo stesso motivo per cui non mi avete dato ascolto nemmeno quando ho scoperto che quella malattia torna ogni tre lustri! Perché non mi avete dato ascolto? Avremmo potuto salvarlo! So che Alfredo chiedeva in continuazione di allontanare il medico, ma perché dargli retta proprio alla fine, quando sembrava che le cure iniziassero a fare effetto? Lo avete abbandonato al suo destino! Io-»
«Basta così.» La voce di Evaristo tradiva una rabbia esplosiva trattenuta a stento.
Cesare si rese conto di avere esagerato, ma non riusciva a togliersi dalla testa lo sguardo colpevole dell'abate: “Tu nascondi qualcosa. Ma perché?”
«Le chiedo scusa abate, sono ancora sconvolto da tutto e ho-» tentò di giustificarsi, ora sapeva che non avrebbe ottenuto più nulla da quella conversazione e si pentì di averla portata cosi oltre. L’abate gli si rivolse con fermezza, la voce dura: «Fuori. Esci da qui».
E Cesare uscì, in silenzio. Un silenzio carico di disagio.
Sto forse impazzendo?”
Non riusciva a darsi pace. “Perché mentire a tutto l'eremo? Non ha senso! Eppure il medico era davvero convinto di quello che diceva. O forse l'ho solo immaginato? No, lo speziale ha visto e ascoltato benissimo quello che ha detto, in quel negozio non ero solo”.
Solo. Era ritornato ad essere un'entità unica da quando si era costretto ad abbandonarla.
Tutti i momenti passati insieme a lei gli avevano fatto credere che la sua vita stava davvero riprendendo quota. Quel pensiero era così dolce e amaro allo stesso tempo.
Perché mi ritorni in mente sempre più spesso in questi giorni? Non posso pensare a questo, non ora, quando tutto sembra che stia crollando un'altra volta. Rischio di impazzire sul serio...”

Era nella sua cella, le preghiere serali erano appena terminate e Cesare aveva cercato di tornare il più rapidamente possibile nel suo alloggio per evitare qualsiasi ragione di contatto diretto con Evaristo.
Sapeva che prima o poi si sarebbero riappacificati ma era ancora scosso dai dubbi per una cosa che nemmeno lui comprendeva appieno.
Quando fu notte la pioggia era terminata da poco tempo: il giardino dell'eremo era avvolto in una leggera foschia, e l'aria, carica di umidità, profumava di erba bagnata.
Cesare fece molta fatica a scivolare nel sonno, e quando alla fine ci riuscì la mente ancora macinava pensieri che ruotavano tutti intorno alla strana morte di Alfredo.

Stava fissando il giardino, era spettrale in quell'atmosfera. Una strana tensione si era impadronita di lui, e non riusciva a staccare lo sguardo dal punto dove si ergeva l'altare del cimitero.
Era una tensione carica di attesa. Non sapeva cosa aspettava, ma stava per arrivare.
Ecco”.
Vide due individui che si avvicinavano. Erano emersi dall'ombra del cimitero, e si tenevano per mano.
Quando li vide, ebbe un tuffo al cuore: erano Alfredo ed Eleonora.
Il loro sguardo era sereno, e Cesare rimase sconvolto.
Si stavano avvicinando alla tomba di Alfredo, la stessa tomba che avevano chiuso quella mattinata.
Quando vi furono di fronte, si girarono, fissando proprio nella sua direzione.
Una luce innaturale lo investì: voleva gettarsi all'indietro per ripararsi, ma non ci riusciva. Era come ipnotizzato da quei volti. I loro occhi erano fiamme nella notte, e alla fine parlarono insieme, le voci divenute una sola: «Vieni a me Cesare, tu devi sapere. Vieni nel luogo dove mi hanno abbandonato, tu sai quello che devi fare. Vieni a me Cesare!»
I volti vennero deformati dal fuoco, e fu solo luce.
«Alfredo!» aveva urlato, e il suo stesso grido lo aveva ricondotto alla realtà.
Era di nuovo nella sua cella, a letto però.
Si alzò di scatto, liberandosi con violenza dal lenzuolo che usava per coprirsi. Restò diversi secondi in piedi, nel silenzio della notte che regnava nell'eremo.
Che diamine mi succede?” si sentiva febbricitante, le mani gli tremavano, e non riusciva a calmarsi.
Devo andare, lui mi ha chiamato, e anche Eleonora vuole la stessa cosa... Devo andare subito! Loro mi stanno aspettando...”
Sapeva cosa doveva fare. Il dubbio che doveva fugare era l'unica ragione di esistenza che trovava in quel momento.
Si rivestì in fretta e una volta pronto aprì la porta della sua cella e si incamminò silenziosamente nel corridoio. Nessuno doveva vederlo. Nessuno doveva sentirlo.
Si diresse immediatamente verso il piccolo deposito degli attrezzi agricoli che tenevano al piano terra. Dentro vi trovò quello che cercava: un badile.
Lo prese e sempre con passo silenzioso si avviò nel corridoio per uscire all'esterno.
All'improvviso udì dei passi provenire dalla sala comune diretti verso di lui.
Dannazione!” preso dall'impeto del momento si nascose in una delle piccole alcove che si trovavano ai lati del corridoio, poggiando il badile li vicino e trattenendo il respiro.
I passi si stavano avvicinando, Cesare era convinto che sarebbero bastati i battiti convulsi del suo cuore a tradire la sua presenza.
SBAM!
Il rumore lo lasciò di sasso. Il badile era caduto fragorosamente a terra, e ora era disteso parallelo alla linea del muro, immerso nell'ombra. I passi si avvicinavano sempre di più.
Che cosa ho fatto? Mi troverà ora...” trattenne il fiato.
Padre Germano gli passò davanti senza dare l'idea che avesse notato nulla di strano, e si diresse verso le scale del primo piano.
Cesare stava quasi per ringraziare la sordità del suo anziano fratello, mentre finalmente tirava il fiato.
Raccolse il badile e uscì, inoltrandosi nell'umida foschia che aleggiava nel cimitero.
Loro non devono vedere... Loro non possono sapere... Ma io devo capire, devo conoscere la verità!” continuava a ripeterselo come una preghiera.
La sua paranoia gli stava facendo raggiungere nuove vette di follia.
Mentre camminava verso la tomba di Alfredo si sentiva perennemente osservato, da tutti i lati. La sua testa guizzava a destra e sinistra in continuazione, con scatti repentini più appropriati ad un rettile che ad un essere umano. I suoi occhi però non colsero nessuna presenza. Se qualcuno lo avesse visto, avrebbe probabilmente stentato a riconoscerlo, lo sguardo reso folle dalla pazzia.
Arrivò alla tomba di Alfredo.
Devo farlo... Per Eleonora e per te Alfredo, che tu possa perdonarmi per turbare il tuo riposo, ma se ho ragione non turberò un bel niente. Stanotte farò remissione dei miei peccati. Guardami Eleonora, guardami!”
Prese il badile e iniziò a scavare nella terra ancora umida, le sue braccia tese nello sforzo di smuovere il terreno, mentre un pensiero fisso gli invadeva la mente.
L'aveva presa nel confessionale come una bestia. Aveva strappato i suoi abiti e aveva assaporato quella carne così giovane con tutto il suo corpo. Ora ogni colpo di badile gli ricordava quegli attimi, quando era stato completamente posseduto dal ritmo diabolico della danza del peccato.
Le sensazioni del peccato sono sempre le stesse... Perdonami Signore... Perdonami!”
Un colpo, un altro colpo ancora. Ogni volta la rivedeva: il suo viso leggermente lentigginoso, i suoi occhi verdi, quei capelli così fradici da sembrare oro colato, i piccoli seni che ondeggiavano ritmicamente.
Alla fine aveva urlato, e così fece Cesare in preda al delirio quando finalmente trovò la bara.
Inserì la cima del badile nella fessura del feretro e con tutta la sua forza fece leva sollevando il coperchio, sigillato solo da qualche chiodo.
Quando vide quello che vi era all'interno lasciò cadere lo strumento per terra.
Sassi, la cassa era piena di pietre.
Cesare era combattuto tra la disperazione per l'amico scomparso e la gioia per aver confermato i suoi sospetti.
In preda alla confusione, fu allora che sentì come un formicolio dietro la nuca.
Una voce alle sue spalle lo fece trasalire.
«Buonasera, Cesare.»

Nessun commento:

Posta un commento