venerdì 9 maggio 2014

Stranezza di proporzioni: Capitolo 9



Sembra passata un'eternità dall'ultimo capitolo, non è vero? Effettivamente sono passati due mesi e mezzo. Inutile fornire motivazioni se non che la vita reale ha preso il sopravvento, ma spero di riuscire a tradurre il prossimo in meno tempo, trovando magari nuovamente una cadenza di pubblicazione. I ringraziamenti vanno alla sempre presente editor Sara che anche stavolta ha svolto un lavoro perfetto e rapido.

Per chi si accingesse a leggere per la prima volta la traduzione di questo romanzo fornisco i link ai capitoli del primo atto (dal prologo fino al capitolo 7):


E il link al capitolo precedente:

http://nopipeblog.blogspot.it/2014/02/stranezza-di-proporzioni-capitolo-8.html

Per chi invece volesse acquistare il libro in lingua originale (sia formato elettronico che cartaceo):

http://www.drivethrufiction.com/product/96994/Strangeness-in-the-Proportion

Bando alle ciance ed ecco a voi il capitolo!





Interludio: arti fantasma

Mi chiedono come posso esserne così sicura.
Gli dico che una madre sa. Sangue del tuo sangue. I mutilati a volte si lamentano degli arti fantasma, del formicolio e del solletico dove stavano il loro braccio o gamba. A volte sento il formicolio. Proprio qui. Piccole dita grassocce, fredde e morte che solleticano le mie costole dall'interno.
Mi chiamano assassina. Mi sputano addosso. Mio marito mi ha persino chiamata mostro, durante il processo.
Poi mi dicono, no-no-no. Non sono un mostro. Sono solo malata mentalmente. Non mi metteranno a dormire. Semplicemente mi chiuderanno a chiave nel colore dell'emicrania. E lo fanno. Per un po'.
Gli dico che penso ci sia stato una specie di orribile sbaglio. Ecco perché sei pazza, dicono. Ma “pazza” è una brutta parola, dicono; non la usiamo più. Poi cantano in continuazione la stessa canzone. Non mi piace. Gli dico che è tutto sbagliato. Hanno frainteso.
Questo non gli piace.
Per quasi vent'anni cantano la stessa canzone, ancora e ancora. Mi arrendo. Canto con loro. Ormai conosco tutte le parole. Questo gli piace. E' proprio la canzone che volevano ascoltare. Mi lasciano andare. “Sei guarita,” dicono. “Vai a fare qualcosa di degno con la tua vita.”
Si suppone che dovrei vedere qualcuno riguardo una sistemazione, riguardo un lavoro. Non lo faccio. Vado al negozio di ferramenta e compro un badile.
Per oltre vent'anni hanno cantato la stessa canzone, nel colore dell'emicrania, e io non so più. Devo esserne sicura. Non è una tomba molto grande. Eppure, è una fatica. I miei muscoli sono in preda ai crampi. Ma continuo a scavare. Mi strappo qualcosa nella spalla. Ma continuo a scavare. Vomito. Ma continuo a scavare.
Comincia a piovere e non riesco a percepire con certezza se sto ancora piangendo, eccetto per i singhiozzi che scuotono il mio corpo. Il badile sferraglia contro qualcosa di duro. Credo di urlare, sebbene i miei denti siano totalmente bloccati. Devo aver lasciato cadere il badile perché sto artigliando il fango, le unghie che si spezzano e si strappano.
Sento piccole dita che mi solleticano dall'interno della pancia. Mi manca il mio bambino. Era così bello. Conoscevo ogni centimetro di lui, le sue piccole mani, le sue piccole dita, ogni capello sulla sua testa. Una volta passavo ore facendo scorrere leggermente il mio mignolo lungo i suoi piccoli palmi perché si sentisse al sicuro.
Mi accanisco sulla minuscola bara con le mani insanguinate. Sento il solletico di piccole dita morte. Mi dicono che sono pazza, ma si sbagliano. Ho avvertito il solletico morto ben prima dell'assassinio.
Non era il mio piccolo ragazzino---il mio dolce, dolce bambino. Un orribile cuculo lo ha portato via. Ho inzuppato la sua testa sotto la tiepida acqua del bagnetto. Ho stritolato il suo piccolo collo.
Dov'è il mio bambino?” Grido.
Non risponde, semplicemente guarda in alto verso di me con la faccia del mio bambino. Si difende attraverso una maschera che fa a pezzi il mio cuore. Lo trattengo sotto e stringo.
Dov'è il mio bambino?”
La maschera diventa blu e viola. Eppure continuo a stringere e urlare.
Dov'è il mio bambino?”
Poi mio marito è lì, gridandomi di lasciarlo andare, ed io non lo faccio, e lui mi colpisce in faccia finché non svengo.
Apro la bara. Sento piccole dita morte, perché dentro la bara, la minuscola bara, dentro il piccolo completo e cravatta, c'è un minuscolo spaventapasseri fatto con steli di grano, paglia, e cartine di caramelle stretti assieme con un filo spinato arrugginito, tappato con una testa di coniglio imbalsamata e impalata su un ramoscello.





Capitolo 9

Non oltrepassare.
Il vento soffia di nuovo e ciò che rimane del nastro da scena del crimine scatta, giallo e arrabbiato, con il suo avvertimento finale.
Non oltrepassare.
Simon strappa il nastro e avanza nelle tenebre.
La torcia elettrica fa clic accendendosi. Gemiti lignei e scalini sgangherati conducono Simon in alto e lontano in un edificio svuotato e parzialmente demolito.
Una volta era un pub,” dice Simon al suo registratore digitale. “Un vecchio pub. Proprio dall'altra parte della strada dove hanno sparato a John Dillinger.”
Non oltrepassare, mormora il fascio di nastro trattenuto nella mano di Simon. Scalini lamentosi lo portano ancora più in alto---solo i corvi a-testa-in-giù, dal loro peculiare posatoio, possono vedere la discesa. Tenebre, tubi e parti esposte dello scheletro dell'edificio. Ogni frammento di legno brontola in modo lamentoso, cercando di dire qualcosa a Simon nel proprio accento tarlato-ammuffito.
Oltre gli scalini dalla parlata scricchiolante, fuori dal buio bagnato, Simon è sopra e all'esterno, su un ponte di legno rialzato che poggia tra gli edifici, una birreria all'aperto. Nel centro del ponte, crescendo apparentemente in modo inspiegabile fuori dallo spazio tra gli edifici e dal cemento, c'è un grande albero, il cuore della birreria.
L'albero, e gran parte della balaustra, è incordato con spire avvinghiate di luci natalizie, come un'edera di plastica cresciuta eccessivamente. Un vecchio tavolo da picnic marcisce stoicamente nell'angolo. Probabilmente c'erano tavoli e sedie disseminati ovunque, una volta.
Simon tocca l'albero.
Dopo aver poggiato la sua valigetta da scena del crimine sul tavolo da picnic, tira fuori un Thermos nuovamente riempito. Comincia la sua seconda dose di assenzio per la nottata con uno sbuffo e le Cornacchie crescono frivole, la cavità dell'albero fantasma che forma un viso nella sua testa.
Crunch-crunch fanno le foglie cadute sotto i piedi ubriachi di Simon mentre percorre in tondo e in tondo l'albero della birreria.
Crunch-crunch.
Lì.
Crunch-crunch.
Questo è l'albero---e quello è l'orlo---su cui è cresciuto il ramo---a cui hanno appeso la corda---che ha impiccato Jane,” dice Simon al registratore.
E le foglie crespe sibilano tutt'intorno, tutt'intorno. Le crespe foglie sibilano tutt'intorno,” cantano le cornacchie come ritornello.
Crunch-crunch.
Il leggero sfregio sul ramo è conforme con l'azione di taglio di una corda ruvida, che scorreva su e giù, mentre sollevavano e abbassavano Jane più volte.”
Arrampicati sul ramo tintinnante!” gracchiano le Cornacchie. “Vogliamo vedere da là.”
Inebriato ma agile, Simon scala l'albero e striscia verso i rami appesi, trovando la cicatrice nella corteccia.
La cicatrice di Jane.”
Simon accarezza il segno. Chiude gli occhi e memorizza ogni contorno. Sfrega una pallida guancia sulla ferita...
Al lavoro, ragazzo, al lavoro,” lo richiamano le Cornacchie.
Scatta sull'attenti, notando il cielo di ottobre. Un frammento di nuvola cattura il chiarore lunare e si accende di un freddo bruciore, e Simon vede agitarsi i pallidi capelli di Jane nella stratosfera. Stava cominciando a vederla ovunque---nei riflessi e in forme indefinite e stimoli casuali dei sensi. Noi, tutti noi, lo abbiamo fatto---la dissezione mentale delle parti del corpo di coloro che amiamo: un naso grazioso, un sorriso, un orecchio dilettoso. Li tagliamo via nelle nostre menti, portandoli con noi come dei ricordi. Poi li posizioniamo, come pezzi di puzzle, in ogni forma compatibile che troviamo nel vasto mondo, e ricordiamo i nostri amati con questi totem. Simon non è differente. Vede i capelli di lei in una nuvola, i suoi occhi dorati ogni volta che chiude i suoi e un'immagine residua permane, la sua bocca scherzosa sull'orizzonte, le sue unghie ridicolmente arancioni come dei Jack O'Lantern accesi, le sue orecchie di fata, il collo delicato, la forma peculiare del suo fegato, l'esatta consistenza dei suoi intestini, il delicato movimento del suo petto che si apre nel dispiegamento delle sue stesse mani, la freddezza del suo tocco nell'apertura di un frigo, l'esatto peso del suo cuore in un grappolo d'uva tenuto in mano. Vede Jane ovunque.
Al lavoro!” lo richiamano le Cornacchie.
Simon osserva la scena del crimine dall'alto. Le prove individuali sono già state prese, ma lui vuole la sensazione, il tatto di tutto il luogo. E' racchiuso dagli edifici circostanti. Nessuna vista dalla strada... ma ci sono un po' di finestre e nulla per mascherare alcun suono.
Gli assassini avevano pianificato di interrogare Jane,” dice Simon al registratore. “Questa locazione... è stata improvvisata per qualche ragione.”
Il nostro eroe da film muto rimuove la sua bombetta nera e la fa girare nell'aria, lasciandola atterrare accuratamente sulla sua valigetta in basso. Si gira sul ramo, sedendosi, poi appoggiandosi dietro, bloccando il retro delle sue ginocchia sul ramo e cadendo all'indietro---buttandosi a testa in giù, le mani dondolanti come quelle di un ragazzino che gioca, i capelli penzolanti. Il movimento della caduta fa cascare gli occhiali dal viso---ma la sua mano scatta con una velocità da lingua-di-geco, catturandoli e facendoli tornare sulla faccia. Simon spesso lascia cadere cose, ma le riesce sempre a prendere al volo. Le Cornacchie alzano le teste in preda alla curiosità per la loro prospettiva mutata mentre Simon pende a testa in giù dal ramo dell'albero, dondolando nel vento, pendendo come una Jane rovesciata.
Simon spinge via la sua cravatta penzolante dal viso, infilandola sotto la camicia. Ondeggia, le braccia pendenti in basso, comprendendo l'istante.
Questo, proprio---qui---è dove pendevi, Jane,” Simon dice al registratore, abbracciando l'aria vuota di fianco a lui. “Hai danzato nel vento,” dice al registratore---dice, retroattivamente, allo spazio vuoto che una volta conteneva Jane. “Il piccolo ragazzino ti ha visto da---” Simon indica “---quella finestra.”
Ce n'erano quattro. Uno ti ha impiccata; era grosso. Uno di loro ti ha fatto delle domande. Uno di loro rideva mentre soffocavi. E uno di loro piangeva. Li conoscevi già da prima. Volevano qualcosa da te. Hai graffiato uno di loro, quello grosso.”
Simon ascolta il sibilo delle foglie.
La sente---la sensazione delle chiavi perdute, il compito di matematica andato perso.
Click-clack-crack, Simon,” mormorano i corvi. “C'è qualcosa qui!”
Gli occhi di Simon scattano intorno, a testa in giù. Non è certo di trovarsi più al sicuro stando sull'albero o se ciò lo rende solo una pentolaccia di carne dondolante per l'uomo nero.
Simon si issa mettendosi seduto, si spinge indietreggiando, e atterra leggermente sul terreno con una capriola all'indietro.
Sei la mia ombra,” dice Simon. “So che sei lì. Cosa sai di Jane?”
Silenzio.
Le foglie sibilano anni di segreti raccolti e origliati dalla birreria all'aperto.
Thump.
Qualcosa che è stato lanciato atterra ai piedi di Simon. Poi una distorsione. Poi una nuvola di foglie scalciate in aria. Poi nulla. Simon guarda in basso. Un ratto morto. Perchè?
All'inizio tutto quello che vede è l'infestatore morto. Le Cornacchie però gorgheggiano affamate, e Simon vede quello che loro stanno osservando: un corpo morto, una minuscola finestra per l'Acqua Morta. La bocca di Simon si inumidisce.
Si.
Solo un assaggio.
Solo una dose.
Simon trangugia l'assenzio, indossa i guanti di lattice, e fa apparire un bisturi.
Soggetto: grasso ratto.”

* * * * *

Dove siamo?
Il sonno non ha un luogo da chiamare casa.

* * * * *

L'amore morto solletica, anche solo il più piccolo assaggio di esso. Simon sogghigna. La sua bocca è un cimitero di nuove e scintillanti lapidi raccolte a mezzaluna. Sorride come se gli fosse stato raccontato un segreto.
Simon siede sul pavimento di legno, la schiena poggiata all'albero della birreria all'aperto, sprofondato in avanti, la testa bassa. Le sue mani di lattice blu si alzano al livello delle spalle: una mostra un bisturi insanguinato, l'altra un ratto morto colante viscere dalla propria incisione a Y. I suoi occhiali siedono storti, pendendogli da metà viso. Il corpo di Simon sobbalza su e giù. Il bisturi danza nell'aria, conducendo la musica che suona solo per lui.
Causa della morte: veleno,” dice Simon. “La vittima viveva sotto la birreria all'aperto.”
Situati nitidamente di fronte a Simon sono gli organi individuali del ratto, ognuno in mostra sulla propria foglia sul pavimento. Simon con riverenza mette giù il ratto e il bisturi. Il vento soffia e ora Simon può comprendere cosa dicono le foglie quando sibilano, cosa risponde il legno quando scricchiola.
Quel posto, Jane---il pub e birreria all'aperto. Non era poi così diverso da un cadavere---un insieme di resti fisici, un reliquario per ricordi investiti e nostalgia.
Questa è stata una casa felice. Molte libagioni sono state versate qui, molti amici sono stati fatti, molte risate liberate. Avevano letto storie qui, sotto le luci sfavillanti dell'albero casa---poesie e storie di fantasmi. Avevano recitato teatro qui. Tutte quelle notti in questo posto che scricchiola e parla, sotto l'albero sfavillante, oltre un congresso di ratti davvero grassi, davvero letterati---e tutti quei racconti di fantasmi e rime e battute di Shakespeare intrappolate negli anelli dell'albero---ricordi nascosti nel fogliame.
Simon afferra una foglia nella sua mano di latex blu insanguinata, la porta all'orecchio e la sbriciola, ascoltando i ricordi ossessivi nel secco crunch-crackle.
Azione!” gridano le Cornacchie.
Simon si alza ubriaco in piedi, i capelli selvaggi come paglia nera; le braccia che pendono inerti; mani di lattice blu, insanguinate, distese ai fianchi. Barcolla come la bambola-Vodoo zombificata imperatrice delle foglie cadute. Il suo sorriso è un cimitero baciato dalla luna.
Mi hai aiutato a capirlo, Jane. Potevo portare l'Acqua Morta dal mio mondo interno al mondo esterno.
Il patologo vaglia tutti i ricordi del luogo cadavere. Il più recente: traumatico. Simon si inchina e le Cornacchie applaudono con le ali. Lo spettacolo sta per cominciare.
Simon guarda la cicatrice sul ramo dell'albero. La cicatrice di Jane. Senza mai distogliere gli occhi, cammina in un punto molto specifico. Con l'esagerazione di un mimo tira la corda---commedia macabra, il Charlie Chaplin impiccatore.
Lui è l'uomo che ha compiuto l'impiccagione e il suo nome è Hector,” dice Simon alla sua mano blu e insanguinata, sebbene il registratore sia ancora nella sua tasca. “E' davvero grosso. Hector ha tirato su Jane tutto da solo. E, Jane---tu hai graffiato la faccia di Hector e lui si è infuriato. Lo hai fatto infuriare di proposito, non è così? Così infuriato, che ti ha uccisa. Hector, nella sua furia, ti ha uccisa prima che potessero ottenere ciò che volevano. Lo hai fatto di proposito.”
Le foglie sibilano e le Cornacchie applaudono.
Le gambe malferme di Simon lo portano, come un ragno ubriaco, in un altro punto specifico. Simon mette su una ridicola faccia malvagia, un cattivo da vaudeville, poi urla qualche orazione silente prima di cominciare a parlare di nuovo.
Lui è l'uomo che ti ha fatto le domande e il suo nome è Gabe,” dice Simon alla sua mano vuota, colante. “Questo era il suo piano, uomo astuto. Ti ha fatto delle domande. Hector ti ha alzata e abbassata. Gabe ha chiesto. E poi Hector ti ha sollevata. Gabe voleva qualcosa. Si è arrabbiato quando Hector ti ha uccisa prima che avesse finito. Hector è forte. Gabe è pericoloso.”
Le foglie sibilano e le Cornacchie applaudono.
Simon striscia fino ad un altro punto. Mima una risata, una risata schiamazzante-folle.
Lui è l'uomo che ride e il suo nome è Joe. Joe il Seguace. Lui è lì solo per Gabe. Non ha altro scopo. Rideva mentre soffocavi, Jane. I suoi fianchi dolevano quando sei diventata blu. A Joe piacciono dolore e perversione, specialmente quelli che producono i suoni dei fischietti da festa. Non ha altri lati.”
Le foglie sibilano e le Cornacchie applaudono.
Simon danza fino ad un ultimo punto. Fa una faccia da cartone animato triste.
Lui è l'uomo che piange e il suo nome è Alex. Lacrime di rabbia, lacrime di tristezza. Piangeva mentre ti impiccavano. Lui... lui ti ha baciata prima di metterti il cappio—-”
Simon si blocca. Interrotto. A disagio.
Perché ti ha baciata?”
Le foglie sibilano e le Cornacchie applaudono.
Simon torna in sé e ricorda. Cade su mani e ginocchia e striscia in un angolo lontano del cadavere della birreria all'aperto. Trova un foro masticato in un'asse di legno, abbastanza largo per infilare...
Con il braccio affondato fino alla spalla, Simon trova il nido, con il suo ammasso di tesori luccicanti: un tappo di bottiglia, una lenza, monete, un orologio, e una chiave. Simon rimuove la chiave.
Grazie,” dice, improvvisamente serio, al ratto morto.
Gli accarezza il pelo. Simon prende la foglia secca con i contenuti deperiti dello stomaco del ratto.
Sollevando la foglia, dice, “Questo è il veleno---che ha ucciso il ratto---che ha rubato la chiave---che Jane ha fatto cadere---che apre la porta---che contiene altre risposte.”
E le crespe foglie sibilano tutt'intorno, tutt'intorno. Le crespe foglie sibilano tutt'intorno,” cantano le Cornacchie in ritornello.

* * * * *
Un vento si alza, spazzando lo spazio adesso vuoto. L'albero e il cadavere della birreria all'aperto attendono la loro demolizione, con solo le foglie sibilanti a protestare. Tutto ciò che rimane del loro ultimo, strano visitatore è un ratto dissezionato e delle lettere incise nella corteccia di un ramo.

J.D.
+
S.M.

* * * * *

Il secondo tassista riconosce il simbolo sul portachiavi.
A volte, Jane, un luogo può avere brutti ricordi.
E' il motel Tanzler.”
E' un edificio stretto, che sbuca fuori, in modo improbabile, tra due edifici più larghi. Lo spazio che occupa poteva essere un vicolo grande e molto ostentato, ma invece ha scelto di essere un motel ristretto. E' un edificio a due piani schiacciato in tre piani sottili.
L'insegna al neon ammicca: TA ZL R OTEL.
Dentro, tutto è tenuto insieme da piastrelle verdi e muffa. La reception, una gabbia sbarrata, è vuota. Un messaggio scritto a mano reca: Suonare il campanello. Nessun campanello è presente però. Simon quietamente cammina fino alla Stanza 303, la stessa della chiave, e---
La chiave entra.
Un altro ingresso si apre.

* * * * *

Simon guarda attraverso un opuscolo che vende una serie di audio registrazioni per l'auto-realizzazione---e poi sta correndo per le strade, sventolando un martello da fabbro incrostato di sangue chiamato Bob.
Bob è il nome statisticamente più comune per un amico immaginario. Lo sapevi questo, Jane?
Non ricorda quando è andato tutto male. Questo per dire che non ricorda alcuna transizione, nessuna scivolata tra gli istanti in cui stava guardando tra gli effetti personali di Jane e quando il mondo è stato affogato nella paura e in grida di pseudopodi.
Ci sono 6,704,845,726 persone nel mondo e il ventisette per cento di loro sono sotto i quindici anni di età e i due terzi di loro hanno amici immaginari. Lo sapevi questo, Jane?
Ha corso per molto tempo; non sa quanto a lungo. Il suo corpo è acido di batteria. Non può udire nulla; le urla mute e assordanti annegano tutto quanto. Ha urlato in silenzio per molto tempo. La sua faccia fa male dalle contorsioni. Il suo cervello è grezzo. Bob è pesante con i suoi sangue, ruggine, e ricordi.
Possiamo solo concludere, Jane, che ci potrebbero essere fino a 603,436,115 Bob invisibili che vivono nel mondo.
Non riesce a ricordare tutte le cose che ha visto. E' come provare a ricordare la logica dei sogni o percorrere ubriachi un labirinto, perduti in modo impossibile. Le porte non hanno senso: la stanza vuota con la vasca da bagno, del vecchio tipo con i piedi artigliati, un uomo anziano nudo che spruzza l'acqua e ride in modo maniacale, come un infante, la sua gola e polsi tagliati, iper-sorridenti, che spruzzano la rossa, rossa acqua, la bocca sorridente, la gola recisa sorridente. Le porte. Le migliaia di occhi. L'odore amniotico. Il suono di un trilione di animali spaventati e gementi sotto un oceano di merda e sangue. Bob che distrugge il vetro e Simon che salta fuori dalla finestra e nessun suono dopo la frantumazione del vetro, solo le grida silenziose di Simon.
Dove era stata la transizione? Simon aveva ingerito troppo assenzio dopo che era capitato nella Stanza 303. Le Cornacchie inutili, troppo ubriache, erano cadute dai rami di assenzio, cadute nella testa di Simon. Ma il nostro eroe aveva sorriso. Questo era un luogo sacro. Jane era stata lì, in vita.
Aveva premuto il suo corpo dentro il solco nel materasso muffito. Il cuscino portava ancora l'odore di lei. Lo aveva messo in un borsone. Aveva camminato per la stanza, ascoltando gli echi di Jane. Aveva bevuto altro assenzio, poi rabbiosamente aveva trangugiato il resto.
Troppo,” aveva detto l'ultima Cornacchia mentre cadeva dall'ora vuoto albero fantasma. I corvi avevano riempito il terreno nella sua testa come foglie cadute.
Il resto della stanza era vuoto eccetto per odori di sigaretta e il tavolo. Sul tavolo Simon aveva trovato un opuscolo del guru del fai-da-te Arthur Drake per il suo programma di auto-realizzazione, Consumatori Apex.
Sii alla cima della tua catena alimentare, negli affari e nella vita!”
Un fiume senza fine di messaggi promozionali notturni erano echeggiati nei ricordi di Simon. Il turno notturno porta una persona in una dimensione di messaggi promozionali. La promessa di Arthur Drake di una vita migliore, più potente, attraverso il suo programma e i suoi prodotti.
Di fianco all'opuscolo c'era un volantino, un foglio di carta rosso che diceva Club Wendigo. La scrittura selvaggia informava che un incontro doveva tenersi sabato alle 21 ma nessun indirizzo veniva fornito.
Con questi giaceva una busta nera di carta pesante e profumata. Simon aveva tirato fuori un invito su cartoncino e lettere dorate: un cordiale invito ad un party e cena per gli Irregolari Gastronomici.
E finalmente, sul tavolo, Simon aveva trovato dei biglietti per un cinema drive-in, fuori da qualche parte nei sobborghi. Il programma era una doppia proiezione di Psycho e Gli uccelli di Alfred Hitchcock.
Ti offrivi, quando potevi, al tuo piccolo anacronismo, non è così, Jane? Più esumavo, più amavo.
Poi, naturalmente, c'era Bob...
Simon corre, adesso, sebbene non sappia dove si trovi. Non sa dove finisca la sbornia di assenzio e dove cominci il vero orrore. Quindi scappa da tutto.
Corsi più profondamente dentro, Jane, più profondamente in basso. Niente geografia, solo seguendoti più profondamente nel buio. Non si torna indietro adesso.
Simon aveva trovato il martello da fabbro nella vasca da bagno, avvolto in stracci unti. Non gli era piaciuto immediatamente. Brutte vibrazioni. Lo aveva però scoperto e si era trovato, con orrore, a scivolare in monomania per l'oggetto, perdendo tempo ad esaminare ogni suo dettaglio. Questo antico martello, incrostato di vecchio sangue, strati di sangue. Le lettere B-O-B erano graffiate profondamente nel metallo arrugginito della testa.
Usavano martelli come questo nei mattatoi, Jane. Cantavano ninna nanne nelle teste del bestiame.
La follia si era insinuata a un certo punto.
Simon smette di correre.
Cade in ginocchio, cercando di respirare, e quando non ci riesce vomita Acqua Morta abortita. Il suo sistema, troppo tardi ormai, cerca di purgare il veleno. Il mondo si scioglie e si ricostruisce. Quanto è corso lontano dal Motel Tanzler?
Simon avvolge il martello nei suoi stracci, lo infila nel borsone, con gli altri artefatti di Jane. Dove si trova? Simon trova i suoi occhiali in una tasca e li mette, per scoprire un'orrenda faccia da clown che sta per staccargli la testa con un morso.
Ah!”
Simon cade indietro.
Le Cornacchie singhiozzano nel suo cranio.
Simon guarda ancora e vede una grottesca faccia da clown con un ghigno plastico, da gargoyle---il tipo di ghigno che scaccia gli spiriti malvagi dalle torri gotiche; il tipo di ghigno che fa Arthur Drake nei suoi messaggi promozionali---dipinto davvero grottesco sotto il trip di verde alchimia.
E' un tabellone di ordinazioni di un fast-food.
L'altoparlante è nella sua bocca. La faccia è scura, spenta, così come lo è il ristorante fast-food. Il posto è chiuso, sbarrato. Un guscio contenente un regno di parassiti che cercano del grasso antico.
Simon ha visto questi ristoranti clown-burger chiusi che punteggiano la città.
Nessuno sembra ricordarsi, Jane, quando sono stati chiusi o quando e se siano mai stati aperti. Non ricordo di averli mai visti in attività.
Simon rabbrividisce. Non gli sono mai piaciuti i clown, non ha mai capito perché i genitori spingano i loro figli verso dei tali simboli universalmente spaventosi. Poi quei figli crescono e gettano la generazione seguente alle creature.
Vai ai strizzargli il naso, tesoro!”
Gettiamo i nostri bambini ai mostri durante i loro compleanni. Supponiamo, solo per un momento, che queste feste di compleanno contengano gli elementi vestigia di antichi riti messi in atto nei giorni in cui ancora competevamo con il Neanderthal. Forse, gli sciamani paleolitici ricoprivano le loro facce con pitture grottesche, attaccavano i bambini con strane cadute, risate da iena, e bizzarre prove di destrezza. I bambini che resistevano diventavano gli uomini e donne della tribù; trionfanti, soffiavano via il fuoco della loro infanzia. I bambini che piangevano o scappavano venivano uccisi, sacrificati a entità oscure e mangiati ritualisticamente alla celebrazione del compleanno. Forse alcuni bambini moderni---lontani solo un pugno di inverni dall'utero e da quella linea pulsante e schiacciante che porta alla memoria collettiva---ricordano, e la vista di quell'orrenda faccia ricoperta di cerone vivifica la rimembranza antidiluviana, un'impressione genetica di quelle celebrazioni selvagge: il sangue, gli ululati, le daghe in vetro di ossidiana. E il piccolo tesoro singhiozza, lascia andare il suo palloncino, si piscia nei pantaloni.
Simon fissa la faccia da clown con un timore ubriaco.
Una gara di sguardi.
La faccia da clown vince.
Poi le labbra del clown si muovono, declamando profanità stravaganti. Simon sa---o almeno sospetta---che questo è solo un sottoprodotto da chimica di assenzio. Crolla rannicchiandosi come un alcolizzato, di fronte alla faccia di plastica.
Sai dove si trova Jane?” chiede alla testa da clown.
Silenzio. Un vento scivola per le strade. Un sacchetto di plastica danza nell'aria ma fallisce nell'essere bello. Poi, un ronzio. Una vibrazione. Cicale geocentriche che si sintonizzano. Simon scava nell'orecchio con un dito ma l'anti-suono non scema.
La faccia da clown si accende, accecante nel buio, sfolgorando giù verso Simon dall'alto. Risa distorte escono dalla sua bocca---troppo lente---troppo veloci---troppo basse---alte. Una brutta musica elettronica da circo si accende, poi muore, affogata nelle ondate di risate deformate.
Finalmente, elettricità statica.
Elettricità statica sibilante.
Ci sono suoni perduti nell'elettricità statica, qualcosa al di sotto del registro del pensiero razionale. Elettricità statica demoniaca. Più forte. Più forte!
Simon si prende le orecchie, i denti che vibrano. Schegge di voci e significati, mescolati, fendono aprendo i suoi timpani.
La reazione esplode in faccia a Simon. Un lampo di luce. Mentre sviene lo ha quasi carpito---oltre le risate e la musica da pandemonio, dentro il codice dell'elettricità statica c'è il segnale, che guadagna sintassi e cadenza e scopo.
Simon cade dentro brutte metafore di incoscienza.
L'elettricità statica demoniaca lo segue.


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